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Deflagrazione etnica per la Siria?

Se fino ad ora erano rimasti piuttosto in disparte nella rivolta contro il presidente Assad, i curdi della Siria stanno cominciando a organizzarsi e minacciano di mettere in crisi, oltre agli equilibri interni, anche quelli regionali. I curdi siriani sono 1,7 milioni e finora solo pochi tra loro hanno preso parte alle proteste. Nelle città a maggioranza curda si sono registrati solo pochi casi di sommosse di rilievo. Il che non significa però sostegno ad Assad. Nelle ultime tre settimane i membri di 11 partiti curdi non ufficiali hanno avuto incontri con attivisti curdi dei Comitati di coordinamento locale, con cui pianificano di dar vita a una formazione più ampia, che dovrebbe avere una sua conferenza di partito già nelle prossime settimane. Non è previsto che questa formazione abbia legami con il Consiglio nazionale siriano, creato dagli oppositori di Assad su base nazionale. Per i curdi, infatti, l’organismo ha un’agenda troppo “araba”, che non contempla l’obiettivo di una più ampia autonomia per la minoranza.

«I curdi siriani non chiedono la separazione dalla Siria, anche se ovviamente l’idea di uno stato del Kurdistan resta un sogno», ha spiegato Meshal Tammo, portavoce del Movimento del Futuro Curdo, citato dal ‘Wall Street Journal’. Il modello è quindi quello della regione autonoma del Kurdistan iracheno, a cui guardano anche i curdi della Turchia e dell’Iran. «Se il regime di Assad cadesse, offrirebbe ai curdi la grande opportunità di conquistare l’autonomia e ovviamente loro ci proveranno», afferma esperto della questione curda dell’International Crisis Group, la fondazione legata a George Soros. Questo sviluppo sarebbe certo preoccupante sia per la Turchia che per l’ Iran, che negli ultimi mesi hanno rafforzato la repressione contro il Pkk e il Pjak, sui confini con l’Iraq. In Siria oltre 500mila curdi non hanno la cittadinanza ed hanno forti limitazioni nei viaggi, nel lavoro e nell’istruzione. Per quelli che hanno la cittadinanza, la lingua curda non è contemplata in uffici e scuole. Nel tentativo di evitare la loro mobilitazione, Assad ad aprile ha promesso la cittadinanza ai curdi che ne sono sprovvisti, anche se finora non più di 45mila sono riusciti a ottenerla.

Ma per molti curdi la fine del regime di Assad non è una garanzia di maggiore tutela per i propri diritti, soprattutto se il potere passa in mano ai movimenti islamisti. Per questo i movimenti curdi hanno boicottato molte delle conferenze dell’opposizione svoltesi all’estero. In particolare, a luglio, hanno abbandonato i lavori di una conferenza in Turchia perchè in disaccordo sulla denominazione araba della repubblica siriana. Sul fronte delle relazioni tra Siria e Usa si registra intanto una escalation. Dopo l’aggressione dell’ambasciatore Usa a Damasco da parte di un gruppo di manifestanti, le autorità siriane hanno accusato gli Stati Uniti di incoraggiare i gruppi armati contro l’esercito governativo.

In una nota del ministero degli esteri diffusa dall’agenzia ufficiale Sana si legge che «le recenti dichiarazioni rilasciate da responsabili americani, tra cui quella del Dipartimento di Stato Usa del 26 settembre, in cui si sosteneva il ricorso alla violenza da parte di gruppi terroristi armati contro le forze armate siriane, indicano in modo evidente che gli Stati Uniti sono coinvolti nell’incoraggiare i gruppi armati a usare violenza contro l’esercito». Dal canto suo, il Dipartimento di Stato americano aveva nei giorni scorsi definito «normale» l’eventuale ricorso ad azioni armate da parte degli oppositori dopo quasi sette mesi di repressione del regime.

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