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Arabia Saudita. Stessa marmellata islamo-americana


Re Abdallah, secondo i media arabi, avrebbe già fatto la sua scelta – inevitabile visto che Nayef in linea di successione veniva subito dopo Sultan – rendendo inutile la riunione del Consiglio dell’alleanza da lui stesso creato nel 2006 (riunisce 35 principi dei vari rami della dinastia reale cominciata con Abdel Aziz bin Saud) – per dare una immagine democratica alla scelta di un sovrano assoluto in un regno medievale dove sono vietati i partiti politici, le altre fedi religiose non possono essere praticate pubblicamente, la società civile è oppressa e le donne non hanno diritti e potranno votare, se non ci saranno intoppi, solo tra quattro anni.
Nonostante ciò i capi di stato e di governo occidentali fanno la fila per esprimere il loro cordoglio ai regnanti sauditi a lutto, evitando qualsiasi riferimento alla negazione in Arabia saudita dei diritti che invece reclamano con forza per le popolazioni dei paesi «canaglia» come Siria e Iran. A partire proprio dall’amministrazione Obama che ha inviato il vice presidente Joe Biden ad incontrare gli alleati sauditi, possessori di un quarto delle riserve mondiali di greggio, e a congratularsi con il futuro principe ereditario Nayef. Quest’ultimo di fatto già guida il regno a causa della lunga malattia di Sultan e del «mal di schiena» che da mesi tormenta re Abdallah che passa più tempo a curarsi negli Usa che a Riyadh. Washington sa che il regno saudita – con il quale ha concluso l’anno scorso un favoloso accordo per la vendita di armi per 60 miliardi di dollari – sarà un alleato ancora più fedele.
Nayef è un conservatore, oppositore delle riforme e delle timide aperture fatte da re Abdallah, e un alleato del clero wahabita che controlla la società saudita. Soprattutto è un nemico accanito della «primavera araba» che vede come un veicolo per esportare l’instabilità e lo sciismo iraniano. Guarda perciò con favore ad un eventuale attacco militare (israelo-americano) alle centrali nucleari dell’Iran e in ciò ha per alleato suo fratello, il principe Salman, 75enne governatore di Riyadh, che entrerà a far parte della troika reale. Nayef fa parte dei Sudairi, ossia i sette dei 53 figli avuti da Abdel Aziz ibn Saud che sono stati generati dalla principessa Sudairi (due, l’ex re Fahd e il principe Sultan, sono morti). I Sudairi sono la più ricca «organizzazione politica» del mondo, un clan ben strutturato che lavora per i propri interessi in Arabia saudita, nella regione mediorientale e nel resto del pianeta. Braccio armato dei Sudairi è stato per anni il principe Bandar (il figlio di Sultan), ambasciatore negli Stati Uniti dal 1983 al 2005 e amico dei presidenti Bush, padre e figlio.
Gli Usa si sentono rassicurati dalla nomina a principe ereditario di Nayef che lo scorso marzo dimostrò tutta la sua determinazione lanciando le forze speciali saudite (conosciute come “le Aquile di Nayef”) contro i dimostranti pro-democrazia che da settimane occupavano Piazza della Perla a Manama, nel Bahrain. E’ a Nayef che si deve la trasformazione agli occhi del mondo della lotta del popolo del Bahrain per i diritti in un conflitto settario tra sciiti e sunniti, tra Iran e petromonarchie del Golfo. E’ opinione di molti che il principe Nayef e i suoi uomini siano coinvolti in «operazioni speciali» avviate in Siria Libia – con la benedizione di Washington – per accellerare la caduta di un avversario del calibro di Bashar Assad. E l’influenza del futuro principe ereditario si sente anche nello Yemen dove sta giocando le sue carte per assicurare una transizione dei poteri dall’alleato Ali Abdallah Saleh, il presidente contestato duramente dalla popolazione, a «nuovi leader» capaci di garantire gli interessi della monarchia saudita.
Oltre alla nomina di Nayef a principe ereditario, re Abdallah dovrebbe procedere anche ad un rimpasto di governo. E’ probabile un salto di carriera per l’attuale ministro del turismo, Sultan bin Salman, figlio del governatore di Riyadh e primo astronauta arabo nel 1985. Il principe Khaled, figlio di Sultan, che ha guidato le forze armate saudite durante la prima guerra del Golfo (1991) potrebbe diventare ministro della difesa. Da parte sua Nayef dovrebbe lasciare il ministero dell’interno al figlio Mohammed, molto gradito a Washington per il pugno di ferro che usa con i qaedisti, veri e presunti. Tutto in famiglia dunque, in linea con le regole di un paese medievale lontanissimo dalla democrazia e dal diritto ma che piace tanto all’Occidente.

Da “il manifesto” del 27 ottobre 2011

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