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L’Inghilterra della generazione perduta

Barbara Ciolli

Per secoli sono stati i conquistatori del mondo, ma gli ultimi dati economici hanno parlato chiaro: i tempi sono bui e gli inglesi dovranno ridimensionarsi. In parte, hanno già iniziato a farlo, accettando il piano lacrime e sangue del governo di David Cameron. Peccato che, come ha sottolineato l’Independent, i sacrifici siano stati inutili.
«Dolore e nessun guadagno», ha titolato il quotidiano inglese, presentando i numeri allarmanti sull’occupazione: 2 milioni e 620 mila disoccupati a settembre 2011, il numero più alto dal 1994, dei quali oltre 1 milione di ragazzi tra i 16 e i 24 anni.
LA GENERAZIONE PERDUTA. Alle cifre diffuse dal ministero del Tesoro si è aggiunta la mazzata della Bank of England, che ha tagliato all’1% le previsioni di crescita fino al 2012. In ogni caso, ha messo le mani avanti il governatore centrale sir Mervyn King, nel 2013 la ripresa non sarà della portata attesa, lasciando intuire che i problemi della Gran Bretagna sono strutturali.
«Negli ultimi tre anni abbiamo assistito a eventi straordinari. Chi può dirci che cosa succederà domani, per non parlare del prossimo mese?», si è chiesto pessimista King, prendendo atto del dato più sconfortante: il fatto che il Paese sia in mano a un esercito di giovani senza futuro, la cosiddetta «generazione perduta».

Un ragazzo su cinque è senza lavoro

Il premier Cameron è partito da sconfitto alla volta di Berlino, per discutere della crisi europea con la cancelliera Angela Merkel. A poco è servita, infatti, la cura da cavallo varata dai conservatori nel 2010, per «rimediare agli sprechi del decennio laburista». Mezzo milione di statali mandati a casa, per un totale di 83 miliardi di sterline (circa 95 milioni di euro) di tagli alla spesa pubblica, dalla polizia al Welfare, dagli enti locali alla cultura, non basteranno ad abbattere il deficit entro fine legislatura, ha ammesso il ministro all’Economia George Osborne.
Con il tracollo finanziario della scorsa estate, negli ultimi tre mesi alla schiera di disoccupati si sono aggiunti 67 mila nuovi giovani. Un ragazzo su cinque, in Gran Bretagna non ha un impiego. Nella fascia d’età tra i 16 e i 24 anni, il tasso della disoccupazione all’8,3% ha toccato il picco massimo del 21,9%.
LO STALLO ECONOMICO. Non va meglio, in generale, alle donne inglesi, considerato che 1 milione degli inoccupati è di sesso femminile: 43 mila in più del record di febbraio 1988.  
Un disagio inedito per un Paese avanzato come il Regno Unito dove, negli ultimi decenni, persino mansioni qualificate come lavori d’ufficio o servizi al cittadino erano svolti da immigrati con un livello d’istruzione medio alto. Trovare un impiego dopo gli studi non era uno scoglio. E se i contratti scadevano in nome della flessibilità, l’economia girava e le nuove proposte fioccavano.
«Da due anni invece», ha raccontato la 37enne Justine Bark di Chesterfield, «tutto è fermo. Invio, in media, 30 candidature a settimana senza ottenere risposta. Prima trovavo senza problemi i lavori più disparati. Ora, per ogni posizione, ci sono centinaia di curriculum. È una lotta».

LA FINE DI UN’ERA. Per l’economista Giorgio Questa, docente alla Cass Business School della City University di Londra, è un destino irreversibile, che i britannici potranno contenere solo «nella misura in cui accetteranno di adattarsi a vivere con redditi inferiori».
Dopo secoli di sviluppo e sfruttamento coloniale, la potenza è giunta al capolinea, «perché ormai ha perso anche la supremazia di offrire prodotti a tecnologia avanzata», ha proseguito l’esperto intervistato da Lettera43.it, «gli studenti e i neolaureati dovranno smetterla di fare i bamboccioni, adagiandosi sulle rendite dei genitori. Se vorranno guadagnare dovranno tirare fuori le unghie, per fronteggiare competitor asiatici altrettanto qualificati».

Libdem contro Tory: il governo litiga sulla crisi.

Anche Antonny Walker, 19enne della contea del West Midlands, appartiene alla cosiddetta “generazione perduta”. «Sono cresciuto pensando che trovare un lavoro fosse facile. Invece è dura, terribilmente dura. Da quando, due anni fa, ho finito il college non ho mai avuto un impiego. Eppure, ho inviato almeno un curriculum al giorno», ha raccontato il ragazzo alla stampa, confessando di essere costretto, per forza di cose, a vivere con la madre.

L’eccezionale momento di difficoltà vissuto dal Paese non poteva non far accapigliare i politici, aprendo nuove fratture nella maggioranza, non bastasse il consueto braccio di ferro tra laburisti e conservatori. Così, se il ministro allo Sviluppo Chris Grayling ha addebitato gli ultimi guai del Paese alla crisi dell’eurozona («c’è stata una flessione repentina del mercato del lavoro, quattro mesi fa la disoccupazione stava diminuendo»), l’ala europeista dei libdem al governo ha subito rispedito le responsabilità al mittente.

LA CITY SI SGONFIA. Per l’esperto di finanza ed ex top manager domiciliato nella City, attribuire colpe a chicchessia non serve a nulla. «Dalla rivoluzione industriale a oggi si è concluso un ciclo di sviluppo. Inutile cercare capri espiatori, accusando le banche. In un mondo così aperto, gli inglesi non sono più leader a priori e si devono rimboccare le maniche. Anche a Londra», ha concluso l’economista, «non è difficile intuire quel che accadrà nei prossimi anni. Ai tempi d’oro della finanza, nella City si è costruito massicciamente. La prossima crisi sarà una bolla immobiliare».

* da Lettera 43

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