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Argentina: nuove prove sui crimini dei militari fascisti

Novità importanti, e altrettanto scioccanti, sono emerse negli ultimi giorni in Argentina sui crimini commessi dalla dittatura militare fascista che ha governato il paese tra il 1976 e il 1983.
Una fossa comune con le spoglie di almeno 15 persone è tornata alla luce nei terreni di un centro di detenzione clandestino allestito durante il regime nella provincia settentrionale di Tucumán. Sul posto, ha riferito il giudice Daniel Bejas, sono stati rinvenuti anche bossoli di proiettili, il che lascia intendere che le vittime prima di essere sepolte siano state sommariamente giustiziate sul posto. Il ritrovamento è avvenuto in un luogo denominato ‘Compañía de Arsenales Miguel de Azcuénaga’, un ex arsenale, considerato il più grande centro di torture del paese dopo la famigerata ‘Scuola di Meccanica della Marina di Buenos Aires’ (Esma), un istituto di formazione militare che diventò il principale centro clandestino di tortura e sterminio del regime. Gli esperti dell’Istituto argentino di antropologia forense (Eaaf) erano da mesi impegnati in operazioni di scavo nella zona: i primi indizi della presenza di una fossa erano emersi già a marzo. Secondo gli inquirenti almeno 900 persone furono recluse, torturate e uccise nel centro di Tucuman, che copriva una superficie di ben 350 ettari. Da tre anni l’Eaaf lavora per ricostruire la storia dei ‘detenidos-desaparecidos’ transitati per l’ex arsenale: secondo le prove raccolte finora, gli oppositori furono sistematicamente assassinati e i loro corpi cremati e in seguito abbandonati in fosse comuni dai militari.
Il giorno prima, invece, una serie di 130 foto agghiaccianti di corpi di desaparecidos vittime dei cosiddetti «voli della morte» è stata consegnata ad un tribunale argentino. Le immagini rappresentano una significativa prova documentale del fatto che il regime fascista argentino uccise molti prigionieri politici buttandoli nell’Oceano Atlantico o nel Rio de la Plata dagli aerei e dagli elicotteri, nel tentativo di rimuovere le prove dei propri crimini. Circostanza che i gerarchi hanno sempre negato ma che è purtroppo ormai ampiamente documentata. L’ultima riprova quella rappresentata dalle foto di venti cadaveri che arrivarono sulle coste dell’Uruguay fra il 1976 e il 1979, accompagnate da rapporti forensi. Molti corpi hanno mani e piedi legati, tutti mostrano segni di torture, alcuni avevano soldi argentini in tasca. Terribile la descrizione del corpo di una donna rinvenuto il 22 aprile 1976 a Laguna de Rocha: bruciature sulle mani, emorragia interna per rottura delle vertebre e segni di violenza sessuale compiuta con un oggetto appuntito. Le immagini erano conservate da 32 anni negli archivi della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (Cidh). “E’ un contributo inedito per la causa, finora non avevamo a disposizione materiale di questa portata, le uniche prove erano testimoniali. Hanno un valore enorme anche per la loro datazione” ha detto Sergio Canton, segretario esecutivo della Cidh. E’ anche la prima volta che la Cidh consegna materiale ‘confidenziale’ alla magistratura di un paese in cui si indaga ancora sulle violazioni dei diritti umani compiute un trentennio fa. Infatti le foto, scattate nel 1979, sono state ora consegnate al giudice federale argentino Sergio Torres che sta istruendo un mega processo su quanto accadde all’Esma. Proprio dalla Esma, situata a pochi chilometri dalla costa, partivano gli aerei con a bordo i prigionieri che, addormentati forzatamente con iniezioni di pentotal, venivano gettati in mare ancora vivi, ma legati e quindi nell’impossibilità di salvarsi.
Secondo le stime accreditate dall’attuale governo di Buenos Aires, negli anni della dittatura militare i desaparecidos furono oltre 30 mila. Il ritrovamento potrebbe ora riaprire anche le indagini sulle vittime del ‘Plan Condor’, il piano di cooperazione tra le dittature militari fasciste dell’epoca con il sostegno dell’amministrazione statunitense. Lo scorso ottobre c’era stata la condanna all’ergastolo a due dei principali responsabili dei ‘vuelos’ dalla Esma: l’ex tenente Alfredo Astiz, detto ‘Angelo della morte’ e l’ex ufficiale della marina Jorge ‘El tigrè Acosta. Ma sono ancora moltissimi i responsabili delle torture e degli eccidi a piede libero.
E’ in questo clima e probabilmente proprio per nascondere la gravità di quanto sta nuovamente emergendo sui crimini fascisti che la stampa argentina e spagnola stanno provando a montare un caso sulle ‘rivelazioni’ contro i movimenti di opposizione al regime. “All’inizio degli anni Novanta le Madri di Plaza de Mayo avrebbero avuto contatti con le Farc, con l’idea di addestrare i militanti dell’opposizione per dare il via alla lotta armata in Argentina”; questo è quanto va affermando l’ex amministratore della Fondazione madri di Plaza de Mayo, Sergio Schocklender, ora in pessimi rapporti con le rappresentanti dell’organizzazione, e al centro di un’inchiesta per irregolarità sulla gestione dei fondi che lo Stato aveva assegnato alle Madri. Secondo quanto dichiarato da Scocklender (accusato di amministrazione fraudolenta e riciclaggio di denaro) in un’intervista in esclusiva con lo scrittore e giornalista argentino, Martin Caparros, pubblicata nel blog «Pamplinas» del quotidiano spagnolo «El Pais», «l’idea era quella di inviare compagni ad addestrarsi con le Farc in Colombia e con gli zapatisti nel Chiapas. Dopo questa formazione i compagni sarebbero tornati per cominciare un certo lavoro». Nelle sue dichiarazioni Schocklender (che nutre profondo risentimento soprattutto nei confronti della leader delle Madri, Hebe de Bonafini) spiega che il progetto dell’organizzazione, durante la presidenza di Carlos Menem, era quello di fare la «rivoluzione» (!). L’ex amministratore ha inoltre raccontato di un presunto piano per il sequestro dell’ex membro della Giunta militare della dittatura: «Nel 1999-2000 avevamo tutto pronto per il sequestro di Emilio Massera. Lo avevamo seguito, sapevamo come si muoveva, dove andava. Era tutto pronto. La mia fantasia era di prenderlo e farlo sparire nel nulla. Niente di più». Per giustificare il fatto che poi nulla avvenne, Schocklender afferma che fu la stessa Hebe de Bonafini ad opporsi all’idea. Inoltre racconta che le madri si finanziavano attraverso «furti a negozi e supermercati. Cercavamo di andare in quei luoghi simbolo della concentrazione oligarchica, non alla farmacia all’angolo». Un tentativo maldestro di gettare fango su un’organizzazione che ha sempre tenuto duro, anche durante gli anni più bui della dittatura, nella sua denuncia pubblica delle nefandezze dei militari.

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