È salito a 57 morti e 176 feriti il bilancio delle vittime degli attentati compiuti questa mattina a Baghdad. Lo riferisce una fonte della polizia irachena citata dalla tv di stato Al-Iraqiya. Secondo il comunicato diffuso dal ministero dell’Interno iracheno, sono 12 gli attentati compiuti in città, gli ultimi si sono registrati stamattina presto. Le esplosioni hanno colpito indiscriminatamente quartieri sciiti e sunniti della capitale irachena. Quella che ha provocato più vittime – 13 morti e 36 feriti – è avvenuta nella sede della commissione governativa per l’integrità, nel distretto di Karrada, dove un attentatore suicida si è lanciato con un’automobile imbottita di esplosivo contro l’edificio. Altre esplosioni sono avvenute nei quartieri centrali di Alawi e Bab al Mudham, in quello sciita di Shula, nel nord-ovest della città, in quello sunnita di Adhamiya, in quello meridionale di Abu Dashir, nel distretto di Amil e in quello di Waziriya, dove è stata presa di mira una pattuglia della polizia. La serie di attentati coincide con una impennata nelle tensioni politiche in Iraq, pochi giorni dopo il completamento del ritiro delle forze americane. Contro il vice presidente sunnita Tareq al Hashemi è stato spiccato un mandato di arresto in un’inchiesta per atti di terrorismo, mentre il suo partito, Iraqiya, accusa il primo ministro sciita Nuri al Maliki di ricorrere a metodi dittatoriali. E’ difficile non collegare l’escalation in Iraq con quanto sta accadendo nella vicina Siria. Nell’ultima riunione della Lega Araba, l’Iraq era stato l’unico paese a schierarsi contro la destabilizzazione del regime di Assad e a candidarsi a gestire una soluzione negoziata malvista dall’Arabia Saudita e dalle petromonarchie del Golfo che stanno invece operando per un rovesciamento violento del potere in Siria.
L’Iraq ha svolto un ruolo cruciale nella mediazione tra Lega Araba e Siria, il cui vice ministro degli Esteri Faysal al Miqdad è andato al Cairo a firmare due giorni fa il protocollo per l’invio di osservatori arabi nel Paese scosso da dieci mesi di proteste e repressione. Faleh al Fayad, consigliere per la sicurezza nazionale iracheno, citato dal quotidiano panarabo Asharq al Awsat. Fayad , aveva incontrato nei giorni scorsi al Cairo il segretario generale della Lega Araba, Nabil al Arabi, con cui ha discusso degli sviluppi della mediazione irachena per risolvere la questione siriana. Secondo la proposta di Baghdad, una cui delegazione è stata ricevuta sabato scorso dal presidente Bashar al Assad, l’invio di osservatori arabi in Siria è solo il primo passo di un piano inter-arabo più ampio che mira alla “fine della crisi” e al ripristino della “stabilità”. La proposta irachena prevede che, dopo una fase di dialogo tra regime e opposizioni, si apra una fase transitoria durante la quale dovrebbero essere applicate le annunciate riforme politiche e sia formato un governo di unità nazionale prima di elezioni. Fayad non ha fornito a proposito ulteriori dettagli, ma ha assicurato di aver consultato sulla questione anche “un gruppo dell’opposizione” siriana.
Per comprendere meglio il ruolo dell’Iraq sulla crisi siriana, un servizio della Nena news del 16 dicembre.
“Pochi giorni fa era stato il generale Fadhil Birwani, comandante militare delle forze antiterrorismo irachene, a immaginare con preoccupazione il possibile futuro di Damasco: la caduta di Bashar al-Assad in Siria sarebbe “una minaccia per l’intero Medio Oriente, perché permetterebbe la salita al potere di un regime integralista islamico in uno dei Paesi leader del mondo arabo”.
Ancora una volta, come accaduto nelle scorse settimane, Baghdad torna ad esprimere con chiarezza il proprio instancabile supporto al regime alawita di Bashar. Un appoggio che si scontra con le pressioni che il resto della Lega Araba e le potenze occidentali stanno esercitando su Damasco, ufficialmente a causa delle repressioni in atto nel Paese da parte delle forze governative contro i manifestanti anti-regime.
“Crediamo che la Siria sia in grado di uscire dalla crisi attraverso delle riforme”, aveva suggerito lo stesso premier iracheno al-Maliki. Parole che molti analisti hanno accostato a quelle del presidente iraniano Ahmadinejad: “I siriani dovrebbero implementare le necessarie riforme da soli” senza alcuna pressione esterna.
Una comunanza di posizioni che ha portato l’ex consigliere del Dipartimento di Stato Usa per il Medio Oriente, David Pollock, a collegare gli intenti di Iraq e Iran: “Questo è l’effetto dell’influenza iraniana: salvaguardare il regime di Assad è nell’interesse nazionale del’Iran. E l’Iran ha bisogno dell’Iraq per provare a salvare l’alleato di Damasco. L’Iran sta dietro la scena e gli iracheni sanno che gli iraniani gli controllano le spalle”.
E mentre il mondo arabo sanziona la Siria, ritira gli ambasciatori e blocca i rapporti commerciali e finanziari con Damasco, l’Iraq prosegue per la sua strada proponendo delegazioni e firmando accordi economici con Bashar. Costretta a fare fronte alle sanzioni internazionali (ultimo in ordine di tempo il congelamento da parte dell’Unione Europea degli accordi per l’importazione di petrolio), la Siria ha trovato un tampone all’emorragia economica nel sostegno iracheno, che in parte sta permettendo di evitare la bancarotta: si calcola che ogni mese Damasco stia perdendo un miliardo di dollari”.
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