Dall’ingresso del piccolo porto di Gaza city è arduo scorgere l’Oliva, nascosta tra i pescherecci abbandonati. E chi la vede per la prima volta non può fare a meno di dubitare di questa piccola imbarcazione. Eppure mai come in quest’ultimo periodo la minuscola barca a motore del Civil Peace Service si sta rivelando uno strumento essenziale per monitorare le azioni della Marina militare israeliana nelle acque di Gaza e registrare le violazioni a danno dei pescatori palestinesi. Un progetto a cui aveva contribuito anche Vittorio Arrigoni, nelle settimane precedenti al suo omicidio. Oggi, presso la corte militare di Gaza, si tiene una nuova udienza del processo ai rapitori e assassini dell’attivista italiano.
Negli ultimi due mesi si sono fatte più frequenti le intimidazioni delle motovedette israeliane al largo della costa di Gaza. I dati pubblicati di recente dal «Centro palestinese per i diritti umani» indicano un aumento degli arresti di pescatori e delle confische delle loro imbarcazioni. Oliva perciò prende il largo sempre più spesso, con a bordo attivisti stranieri dell’International Solidarity Movement (Ism) che con la loro presenza credono, o almeno sperano, di dissuadere i militari israeliani dal passare all’azione contro i pescatori palestinesi. «Usciamo in mare tre-quattro volte a settimana – dice Rosa Schiano, fotografa napoletana, entrata a Gaza un mese e mezzo fa – il nostro compito è monitorare le violazioni dei diritti umani da parte della Marina israeliana. Ai pescatori infatti viene intimato di non oltrepassare le tre miglia dalla costa ma spesso i militari israeliani entrano all’interno di questo spazio di mare per costringere i palestinesi a tornare indietro». Schiano sottolinea che la stessa Oliva è soggetta a gravi intimidazioni: «Proprio questa mattina (ieri) un’unità israeliana ha aperto il fuoco sull’acqua con il chiaro intento di spaventarci, perché in quel momento non c’erano in zona barche palestinesi».
L’intimidazione più grave è avvenuta una settimana fa. Oliva, con a bordo Schiano, un’altra attivista italiana, Daniela Riva, e un pilota palestinese, aveva seguito come sempre le piccole imbarcazioni dei pescatori verso nord registrando i colpi di mitra sparati a pelo d’acqua da una motovedetta. Subito dopo, mentre si trovava a quasi tre miglia nautiche dalla costa, è stata raggiunta da un’unità israeliana che ha iniziato a girare intorno ad alta velocità. Con il motore in panne la Oliva non è stata in grado di ripartire ed è rimasta in balia delle onde provocate dalla motovedetta. Una di queste ha travolto e quasi ribaltato l’imbarcazione e provocato la caduta in mare del pilota. «Grazie all’uso del gps abbiamo registrato che tante aggressioni ai pescatori palestinesi avvengono entro il limite delle tre miglia nautiche – spiega Daniela Riva – quindi le unità militari israeliane attuano una sorta di zona cuscinetto che limita le possibilità effettive di pesca per i palestinesi a un paio di miglia dalla costa. Limite che non consente ai pescatori di tornare indietro con abbastanza pesce e quindi di poter vivere con la loro attività».
Gli accordi israelo-palestinesi del 1994 stabiliscono che l’area di pesca di Gaza si estende fino a 20 miglia nautiche dalla costa. Questo limite è stato unilateralmente ridotto a 12, poi 6, infine alle attuali tre miglia, uno spazio povero di pesci. «Misure di sicurezza», spiega Israele, che però hanno colpito duramente i pescatori e le loro famiglie: migliaia di palestinesi che non sono più in grado di autosostenersi. Il numero di pescatori si è ridotto nel corso degli ultimi anni e solo pochi sono riusciti a trovare un’altra occupazione, i rimanenti sono a casa senza lavoro.
Chi si ostina ad uscire in mare rischia forte, anche la vita. Alcuni pescatori sono stati feriti con colpi di arma da fuoco. Altri sono stati arrestati e trasportati al porto di Ashdod, in Israele, le loro barche confiscate. «L’ultimo grave episodio risale a domenica 18 dicembre – riferisce Daniela Riva – quando quattro pescatori sono stati arrestati e portati a Ashdod, uno di loro ha riportato una frattura alla gamba sinistra». I palestinesi denunciano che gli arresti sono finalizzati alla raccolta di informazioni sull’affiliazione politica di famigliari e amici dei pescatori, sull’area portuale di Gaza e sui tunnel sotterranei tra Rafah e l’Egitto. Alcuni degli arrestati hanno detto di aver ricevuto offerte di aiuti economici in cambio della «collaborazione» con i servizi di sicurezza israeliani.
I resoconti delle missioni di Oliva sono disponibili in lingua italiana su ilblogdioliva.blogspot.com e in lingua inglese sul sito del CPS Gaza (www.cpsgaza.org).
da “il manifesto” e Nena News
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