“Quella di Pinochet non fu una dittatura”. La destra cilena ci ha provato di nuovo. E’ stata subissata di critiche anche ben al di fuori dei confini del paese sudamericano ed ora cerca di salvare il salvabile. A seguito delle accese polemiche scoppiate nel Paese, il governo di destra del magnate cileno Sebastian Piñera si dice ora ‘disposto’ a fare marcia indietro sulla misura in base alla quale, sui libri di testo delle elementari, in riferimento ai 17 anni in cui è stato al potere Augusto Pinochet, l’espressione ‘dittatura’ dovrebbe essere sostituita con quella più blanda di ‘regime militare’. Lo ha detto ieri lo stesso ministro dell’istruzione Harald Bayer, al termine di una riunione con il capo dello Stato e altri colleghi convocata in seguito all’ondata di polemiche e accuse suscitate dopo che un blogger ha rivelato una decisione adottata dall’esecutivo di Santiago a dicembre che avrebbe dovuto rimanere riservata ancora per un po’. Alla disponibilità dichiarata a fare marcia indietro, però, non è seguita finora nessuna deliberazione concreta.
Pinera aveva chiesto al Consiglio Nazionale dell’Istruzione (Cned) di trovare «una nuova formula che risolva la controversia». Ora Bayer minimizza, appena succeduto al suo predecessore Felipe Bulnes cacciato dalla incessante mobilitazione studentesca, parla di polemiche esagerate e strumentali. «È un invito al dibattito, i professori possono continuare ad usare la parola dittatura» si difende il ministro che continua a ripetere: “che differenza fa se quella di Pinochet era una dittatura o un regime?”. Se non fa differenza, perché cambiare la denominazione di quel periodo sui libri di testo delle elementari?
In un paese normalizzato non farebbe grande differenza, anche se il termine ‘regime’ ha un che di neutro, e il termine sembra assai poco adatto a descrivere una delle pagine più nere della storia del continente latinoamericano.
In un paese come il Cile dove il dittatore è stato l’artefice della transizione ad una democrazia oligarchica e blindata dai poteri forti che studenti e minoranze etniche continuano a mettere in discussione, e dove i nostalgici del fascismo sono una consistente, attiva e influente componente della società, fa differenza. Il tentativo di truccare i testi scolastici rivela una crescente voglia da parte degli ambienti pinochetisti di spostare ancora di più verso destra quel compromesso con i partiti della Concertaciòn – la versione cilena del centrosinistra – che già ha lasciato i settori chiave dell’economia come al tempo della dittatura, senza operare nessuna rottura con il regime fascista che gestì il paese dal 1973 al 1990.
D’altronde fu lo stesso Pinochet nel settembre del 1983, al culmine del suo potere, a utilizzare un termine ambiguo per descrivere il suo regime. In un discorso pubblico parlò di ‘dictablanda’ invece che di dictadura. Un gioco di parole che fece sogghignare generali e oligarchi, ma non i cileni stretti nella morsa di una delle dittature più feroci che la storia contemporanea abbia mai visto. Un tentativo, già allora, di riscrivere la storia in corso d’opera, ripreso oggi da chi con quell’esperienza non vuole tagliare i ponti, né dal punto di vista storico, né politico, né culturale. D’altronde ad acclamare il generale il giorno dei suoi funerali ci andarono in decine di migliaia, a rivendicare 17 anni di omicidi politici, torture, violenze indiscriminate, desaparecidos. Finora circa 700 ex militari sono stati processati e oltre un migliaio di cause hanno riempito le aule di giustizia negli ultimi 22 anni, ma nulla di paragonabile a quanto è accaduto in Argentina o Brasile. Solo 250 responsabili del regime sono stati condannati, e di questi neanche in 50 hanno scontato in carcere una qualche pena. La dittatura continua ad essere un tema tabù, i suoi gerarchi e i suoi aguzzini in molti casi sono rimasti impuniti e addirittura rivestono posizioni di potere nei gangli fondamentali del Cile ‘democratico’ di Pinera. Il deputato comunista Hugo Gutièrrez è tornato ad esempio a denunciare proprio in questi giorni che fra gli esponenti del Consiglio Nazionale dell’Istruzione siede anche il generale a riposo Alfredo Ewing Pinochet. L’anziano gerarca, che nonostante il cognome non ha legami di parentela col defunto dittatore, è stato tuttavia un esponente dei suoi servizi segreti. Per non parlare di Rubén Ballestreros, fedelissimo del regime e dal 20 dicembre scorso a capo della Corte suprema di Santiago.
Quando i quotidiani hanno rilanciato l’indiscrezione pubblicata via blog, la senatrice socialista Isabel Allende, la figlia più piccola del presidente ucciso durante il colpo di stato dell’11 settembre del 1973, ha definito ‘inaccettabile’ il cambio di dizione: “vanno contro il senso comune, visto che tutto il mondo sa che in Cile per diciassette anni c’è stata una dittatura feroce. Non c’era un Parlamento, non c’erano libertà civili e politiche, ci furono persecuzioni, omicidi politici, desaparecidos, e moltissime e gravi violazioni dei diritti umani”.
Tutto il mondo sa che quella di Pinochet fu una dittatura feroce? In molti, nello stesso Cile, non ne sono convinti, e per altri che pure la giudicano negativamente fu una necessità, comunque un irrinunciabile argine al comunismo. A parecchi anni dalla morte del dittatore i suoi eredi pensano che sia giunto il momento di riscrivere la storia, affinché le nuove generazioni ne ricordino una versione per loro meno compromettente. D’altronde il 40% dei cileni ha meno di 25 anni e la memoria, se non coltivata e riprodotta, è come una scritta sul bagnasciuga …
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