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Ieri la Libia, oggi la Siria

Ieri Libia oggi Siria Difficile capire
Maurizio Matteuzzi

Ieri era l’anniversario della rivolta di Bengasi che il 17 febbraio del 2011 fu l’avvio della liberazione della Libia dal regime di Gheddafi. Festa. L’altroieri Amnesty ha diffuso il suo rapporto sulla «nuova Libia». Orrore. Poi c’è la Siria, dove Assad appare decotto come lo era Gheddafi e, in un modo o nell’altro, dovrà finalmente andarsene. Intanto morte e violenze giorno dopo giorno, da mesi, infuriano. In un racconto – narrazione, come si suole dire adesso – troppo semplice e unilaterale, troppo unanime e sicuro.
Sui media e fra i politici semba di essere tornati a un anno fa, allora la Libia oggi la Siria. E lo scenario siriano sembra ineluttabilmente andare sul canovaccio di quello libico.
Già. Possibile che la «guerra umanitaria» (della Nato) in Libia non abbia insegnato nulla alla luce di quello che noti gruppi sovversivi e faziosi quali Amnesty international, Human Rights Watch, Croce rossa vanno scoprendo (in loco), denunciando e gridando da mesi sul dopo-guerra libico? Grida nel deserto. Prima, durante la guerra, la storia a senso unico. Ora, dopo la guerra, l’assordante silenzio.
Silenzioso e distratto – sulla Libia post-Gheddafi, non sulla Siria di Assad – il pallido segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon (d’altra parte è stato scelto e messo lì per questo).
Ma come può essere che il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, divenuto la coscienza del paese, così attento sulla realtà che lo e ci circonda, lui che fu (forse) il primo e più deciso sostenitore della necessità per l’Italia di scendere in campo a fianco dei «bombardieri umanitari» della Nato, di fronte agli orrori che vengono dalla quarta sponda finora non ha aperto bocca? Il petrolio libico, il business, la necessità di respingere le aggressive intrusioni di Sarkozy in Libia…. Per altri forse si potrebbe pensarlo, non per Napolitano. Idem per il governo del professor Monti e per i partiti politici caduti in afasia. Passi per l’ex ministro Frattini, ritornato nel nulla da cui era fuggevolmente emerso dopo aver dovuto lasciare gli esteri. Ma Bersani e il Pd, anch’essi allineati e coperti al momento di proclamare la «guerra umanitaria» della Nato?
E’ difficile capire il perché di tanto silenzio.E’ difficile capire come mai politici e giornalisti navigati e competenti non si rendano conto che un esito come quello libico – guerra e post-guerra – è esattamente la ragione per cui oggi l’Onu o la Nato o «la comunità internazionale» sono paralizzati rispetto alla Siria, dove i civili sono presi selvaggiamente fra due fuochi (due fuochi).
E’ difficile capire come non si rendano conto che gli «interventi umanitari» sono, purtroppo, una – o «la» – nuova forma di ingerenza esterna, di pressione e di ricatto dei poteri centrali (altro esempio, la «guerra alla droga» degli Usa in America latina) che finisce per deligittimare la salvaguardia dei diritti umani e civili che, in principio, si vorrebbero proteggere. E per dare esiti catastrofici. Basta scorrere a caso l’elenco degli ultimi «interventi umanitari»: la Serbia (il Kosovo è un paese?), la Libia, Haiti, la Somalia di «Restore Hope»…
E’ difficile capire come gli intenti «umanitari» dell’Occidente si possano coniugare, ciò che di fatto avviene, con gli intenti di sovversione islamista di al Qaeda. Come gli obiettivi democratici e questi sì umanitari delle primavere arabe possano legarsi con gli obiettivi oscurantisti del Qatar e dell’Arabia saudita. Nel momento in cui l’Occidente e le petro-monarchie del Golfo si toccano, la primavera araba è morta. In Libia e – sperando si sbagliarsi – in Siria.

da “il manifesto”

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