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Russia, i vantaggi dell’embargo all’Iran


Prendiamo a proposito di Iran e Russia la vicenda delle sanzioni economiche imposte dall’Occidente per la nota questione nucleare. L’embargo, fortemente voluto dagli Stati Uniti, colpisce la Repubblica Islamica (dallo scorso dicembre con un pesante aggravio sul sistema sociale) e vede il gigante russo opporsi, insieme alla Cina, all’emarginazione dello Stato degli ayatollah. La solidarietà del Cremlino ha però un preciso riscontro sul fronte globalizzato del mercato energetico. Le sanzioni vanno a colpire uno dei maggiori pilastri del Pil iraniano: le entrate frutto dell’esportazione di greggio e gas. Il primo beneficiario della diminuzione di acquisti petroliferi da parte di Paesi europei (o della possibile interruzione del flusso minacciata a metà febbraio da Teheran nei confronti di Francia, Italia, Spagna, Olanda, Grecia, Portogallo) è proprio la Russia. Secondo talune considerazioni di analisti energetici raccolte da The New York Times lei è diventata attualmente il maggior produttore petrolifero mondiale con un’estrazione di dieci milioni di barili al giorno. Sette milioni finiscono in Europa e in Asia. Le minacce della geopolitica e le stesse tensioni iraniane favoriscono sensibilmente le aziende petrolifere russe, una è la Lukoil che in un ventennio ha dato la scalata al rank mondiale piazzandosi alle spalle della leader mondiale Exxon Mobil. Si calcola che negli ultimi mesi per le ipotesi riguardanti un intervento armato contro il grande Paese mediorientale, le reazioni di quest’ultimo con la minaccia di chiusura dello Stretto di Hormuz Mosca abbia aggiunto alle entrate ordinarie delle sue casse guadagni quotidiani oscillanti dai 5 ai 15 dollari al barile. Un extra che può arrivare sino a 100 milioni di dollari a ogni levare e calar del sole.

Pare che di questi exploit economici, in parte trasformati in sussidi domestici dedicati al consumo energetico, si sia avvantaggiato il premier-presidente nell’ultima campagna elettorale. Con essi ha riscaldato il cuore e le abitazioni di tanti russi poco abbienti che, accanto alla grande oligarchia finanziaria, rappresentano i suoi fedelissimi elettori. I maggiori introiti sono stati anche un sensibile tampone all’inflazione. Nei confronti del “protetto” Iran Mosca ha compiuto un altro abile gioco delle parti. Una delle possibilità di Teheran di aggirare l’embargo dei clienti occidentali è quello di ampliare ulteriormente il mercato asiatico che ha nella Cina e nell’India due formidabili acquirenti. La Russia però è presente sia sul versante occidentale sia su quello orientale, sfruttando due assi nella manica della personale partita energetica. Il primo ha un’impronta tecnologico-logistica: è la copiosa rete di oleodotti (che si sta ulteriormente ampliando) e che le permette di distribuire greggio e gas al di là dell’uso dispendioso delle petroliere e della liquefazione per ragioni di trasporto del metano, cui invece l’Iran è obbligato. L’altro è un semplice effetto speculativo con cui le aziende russe possono aumentare la vendita energetica lì dove le richieste sono maggiori e si dispongono ad accettare aumenti di prezzi. L’instabilità dovuta alla crisi finanziaria e la turbolenza politica del fronte mediorientale incrementano il costo del petrolio che, seppure non abbia raggiunto i picchi del 2008 (quando sfiorò i 150 dollari al barile) s’attesta ben oltre i 100 dollari. I russi già avvantaggiati da ogni rialzo del greggio, grazie ai contratti stipulati ad esempio da Gazprom coi Paesi Ue, riscontrano un guadagno maggiorato anche sulle forniture di metano che risultano vincolate all’altro prodotto. L’Iran all’inverso subisce, per il noto embargo e per la concorrenza russa sulla piazza cinese, sebbene il pragmatismo di Pechino spesso supera quello dei businessmen russi che godono, ripagati, dell’ampia protezione della casta politica insediata dalla diarchia Putin-Medvedev.

Tornando ai due punti vincenti che caratterizzano l’affarismo energetico di Mosca, sul versante tecnico-logistico l’anno in corso porterà se non il completamento un’ulteriore sistematizzazione di una sorta di “transiberiana” del greggio che condurrà verso il Pacifico il prodotto necessario all’industria coreana e giapponese, quest’ultima ampiamente riconvertita al petrolio dopo la tragedia di Fukushima. Sul fronte del commercio il mercato asiatico potrà avere accordi diversificati fra i vecchi e i nuovi Paesi industrializzati. Per poi ovviamente mutare rotta a seconda delle convenienze di chi detiene le leve dell’energia. Agli “amici” iraniani non resta che guardare e sperare davvero nel nucleare.

 

 

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