Dopo il secondo intervento i rumor si sono ingigantiti venendo in settimana ufficialmente battuti dalle agenzie e investendo la stessa stampa turca. Così oggi una nota ufficiale del governo di Ankara smentisce le “impudenti notizie relative alla salute del capo del governo” che viene invece giudicata buona dopo il periodo di convalescenza. “Solo Allah è padrone della nostra anima. Solo Lui può decidere della nostra vita” ha profferito l’interessato parlando in una manifestazione del Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Erdoğan ha ripreso a fine febbraio l’attività pubblica e la sua agenda è già piena di appuntamenti: il 26 e 27 prossimi è atteso in un importante incontro sull’energia nucleare in Corea del Sud, il 28 si recherà a Teheran. Ma le email fra sanitari, carpite e diffuse dal rapporto dei Servizi, riferiscono dell’asportazione di 20 cm d’intestino per una situazione tumorale diffusa e sottolineano un’esplicita controindicazione a viaggi e stress per il paziente.
Contro queste che vengono considerate voci speculative si è speso l’ufficio stampa governativo volto a tranquillizzare la popolazione. Il leader, 58 anni, è politicamente giovane. E’ sulla scena da un ventennio e, dopo essersi fatto le ossa in quella municipalità cosmopolita per eccellenza che è Istanbul, ha dal 2002 infilato due mandati da premier cui è seguita la terza riconferma nel giugno scorso, quando l’Akp ha toccato la maggioranza assoluta nelle urne (50%) pur non conquistandola in Parlamento. Ma soprattutto ha incarnato con abilità personale e un buon carisma la figura del politico nuovo, capace di sdoganare l’Islam nella patria del kemalismo. La ricetta messa in atto col programma che da lui stesso prende il nome (erdoğaniano) è stata studiata con cura dalla mente teorica dei suoi governi insediata nello strategico ministero degli Esteri: il professor Ahmet Davutoğlu. Certamente le rivolte arabe, la crisi siriana, i problemi energetici hanno rimesso molto in discussione i piani “neo ottomani” dell’ideologo Davutoğlu, cancellando in questi mesi la rete di rapporti basata sul motto “zero problemi coi vicini”. Per tacere della ripresa dell’offensiva kurda nelle regioni del sud-est, dove l’instabilità siriana e la presenza di milizie armate anti Asad ridanno fiato ai contatti e agli armamenti del Pkk.
Insomma sino a due anni or sono la politica estera era quasi un porto sicuro per i turchi, ora gli attentati che si susseguono (di recente anche contro una sede governativa) e gli attacchi mortali ai militari possono essere danni minori rispetto a un possibile conflitto antisiriano nel Mediterraneo orientale. Cementa il Paese, nonostante l’opposizione dei kemalisti repubblicani e nazionalisti, l’enorme impulso economico con un Pil risalito all’8% nel 2011 dopo la flessione dei due anni precedenti (c’è però un inflazione in crescita al 10%), lo spirito patriottico che si sposa col desiderio egemonico regionale e avvicina commercianti, imprenditori maestranze, giovani metropolitani e agricoltori immersi nella ruralità. “Cento e una Turchia”, titola un brillante reportage dalla penisola anatolica che coglie a pieno i molti volti della nazione alla quale il disegno politico interclassista di Recep Tayyip Erdoğan sta dando risposte ricevendo fiducia e gloria. E questi elementi ritrovano un profondo senso identitario nell’Islam che prega ma non impone, rilancia le radici della fede nella società e in politica ma non esclude i laici. Ambasciatore di questo che ha preso il nome di Islam moderato che ha trovato riscontri nell’attualità maghrebina ed egiziana è stato finora il premier turco. Un uomo ambizioso ma capace di colloquiare coi potenti e la gente semplice di Fatih. Il domani, come lui stesso dice, è nella mani di Allah.
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