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Colpi di genio in California, suicidi-omicidi a Shenzhen

Viaggio nella «fabbrica elettronica del mondo», che sforna i-Phone a getto continuo e ad ogni costo. E dove diciotto giovani si sono tolti la vita per le disumane condizioni di lavoro imposte dalla logica del profitto. Questa volta, dobbiamo dire, “il manifesto” vale il prezzo…
 
Colpi di genio in California, suicidi-omicidi a Shenzhen
Angela Pascucci

Quando nel febbraio 2011 Barack Obama incontrò, forse per l’ultima volta, Steve Jobs, gli chiese se la Apple avrebbe mai riportato negli Usa i milioni di posti di lavoro disseminati nel globo con le sue produzioni. La risposta fu un «no» senza sfumature.
Il presidente americano aveva, inutilmente, sfidato la convinzione al centro delle strategie della multinazionale: il Made in Usa non è più competitivo rispetto alla scala gigantesca su cui operano le fabbriche all’estero e alla flessibilità, alla convenienza, alla qualificazione dei loro lavoratori.
L’aneddoto è riportato in un’inchiesta che nel gennaio scorso il New York Times ha condotto sulle pratiche di affari e strategie della multinazionale e sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche dei suoi fornitori, (Nyt 21 gennaio 2012). Un report esteso che era stato preceduto dal monologo di un attore, Mike Daisey, la cui pièce «Estasi e Agonia di Steve Jobs» ha fatto sussultare le coscienze americane dopo un passaggio sulla radio nazionale che ha squarciato l’ambito teatrale dove era rimasto chiuso, ignorato dai più. Un j’accuse frutto di un viaggio di 18 mesi nelle fabbriche cinesi.
Tragico volo dalle terrazze
Non è la prima volta che la Apple è bersagliata da critiche per le pratiche dei suoi sub contractors, tra i quali occupa un ruolo crescente la taiwanese Foxconn, impero della produzione elettronica globale a contratto (40% di tutti i prodotti che finiscono sul mercato), con oltre un milione di dipendenti e una schiera di mega fabbriche in Cina, salita alla ribalta quando nel 2010 nella sua fabbrica-città di Shenzhen (400 mila dipendenti) alcuni giovani operai migranti si sono tolti la vita saltando dalle terrazze dei dormitori.
Vi sono ong di Hong Kong che da anni denunciano il modo disumano in cui i colpi di genio “immateriali” concepiti in California vengono trasformati in merci concrete. Con le loro campagne non sono però mai riuscite a fare breccia nei grandi media internazionali. Ma la crisi che morde gli Usa ha costretto infine a spingere lo sguardo oltre lo stereotipo dei posti di lavoro “rubati” dai cinesi. Tornata sul banco degli imputati senza più il carisma di Steve Jobs, la Apple ha contrastato il danno all’immagine predisponendo ispezioni “indipendenti” alla Foxconn di Shenzhen che da parte sua dall’1 febbraio ha aumentato del 25% i salari.
Messaggio ai fan di Apple
I nodi della questione però sono altri, e interpellano direttamente anche i fan dei prodotti Apple. Come si evince da queste pagine dove pubblichiamo, per gentile concessione dell’autrice, la sociologa Pun Ngai, vice direttore del China Social Work Research Centre di Hong Kong, alcuni stralci da un suo manoscritto, prefazione a un libro di futura pubblicazione, Suicide or Murder? Unraveling Apple Dream and Foxconn Suicides. Il volume, che intende rilanciare la campagna contro i modi di produzione dell’industria elettronica, è il frutto dello sforzo collettivo del Foxconn Research Group, costituito da oltre 60 tra professori e studenti di 20 università, cinesi e internazionali che fanno capo a Sacom (Students and Scholars againts Corporations Misbehavior), una ong di Hong Kong.
Iniziata nel giugno del 2010, l’inchiesta è proseguita fino al dicembre 2011, attraverso questionari e interviste dirette con lavoratori di impianti Foxconn in nove città cinesi. Inoltre 14 ricercatori sono entrati nelle fabbriche fingendosi operai per raccogliere informazioni. D’altra parte le richieste ufficiali a Apple e Foxconn di entrare nei reparti non hanno neppure ricevuto una risposta.

 
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Il sogno di Steve Jobs è un incubo

Pun Ngai

Dal 2010, 22 giovani migranti cinesi tra i 17 e i 25 anni che lavoravano negli impianti del gruppo taiwanese Foxconn Technology a Shenzhen hanno tentato il suicidio. 18 sono morti, 4 sono sopravvissuti con gravi lesioni. (…). Questo libro analizza i problemi alla radice della «fabbrica elettronica del mondo» e il suo rapporto con la Apple e lo stato cinese. Ma vuole essere anche una riflessione sull’economia globale e le sue conseguenze in termini di sofferenza per le persone.

La Apple ha realizzato il proprio sogno di diventare il numero 1 dell’industria It. L’iPhone è stato dichiarato il prodotto di maggior successo nella storia della corporation. La compagnia ha venduto un milione di iPod in due anni ma sono bastati 74 giorni per raggiungere quell’obiettivo con il primo iPhone nel 2007 e uno sprint di appena tre giorni per vendere oltre 1,7 milioni di iPhone4, lanciato sul mercato nel giugno del 2010. (…). Nella categoria smartphone Apple ha ampliato talmente i propri margini di profitto che all’inizio del 2010 ha superato Htc, Motorola, Nokia e Rim.
Incassi da capogiro
Come si vede dal grafico (in alto a sinistra, ndr), alla Apple va la fetta più consistente del valore dell’iPhone, circa il 58,5% contro l’1,8% del costo del lavoro in Cina, vale a dire circa 549 dollari contro 10. (…) Nel primo trimestre fiscale del 2012, la compagnia Usa ha registrato incassi record di 46,33 miliardi di dollari e un profitto netto di 13,06 miliardi. Nello stesso trimestre ha venduto 37,04 milioni di iPhones e 15,43 milioni di iPads, con un incremento rispettivamente del 128 e del 111% rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima. (Il primo trimestre fiscale 2012 della Apple si è chiuso il 31 dicembre 2011. Apple Reports First Quarter Risults, Apple, 24 gennaio 2012). (…)
Le vendite della Apple sarebbero state anche più alte se le fabbriche di assemblaggio all’estero fossero state in grado di produrne di più. (…)
Grazie al suo potere di acquisto la Apple detta i termini. Alcuni fornitori hanno riferito che la compagnia «d’abitudine chiede il taglio dei prezzi ogni trimestre e i profitti in calo costringono i fornitori a ridurre i costi» (Zeng Hang, Face to Face with Apple 21st Century Business Herald, 15 novembre 2011. Traduzione in inglese pubblicata in «China Dialogue»). (…)
Le violazioni del diritto del lavoro, la mancanza di sicurezza e il degrado ambientale sono conseguenti, se per ottenere i contratti i fornitori sono spinti a competere sul prezzo, la qualità e la velocità mentre devono mantenere i margini di profitto. Controlli effettuati dalla stessa Apple nel 2006 (20) hanno accertato gravi violazioni alla Foxconn Longhua di Shenzhen (Apple’s Audit Report, 17 agosto 2006). (…)
L’inchiesta era stata effettuata dopo le denunce dei media internazionali sulle condizioni di lavoro dei fornitori Apple. Dal febbraio 2007, la compagnia ha cominciato a diffondere relazioni annuali per dimostrare i propri sforzi nel contrastare le violazioni. Al 2011, il numero delle indagini era aumentato del 487%, arrivando a 229 tra «inchieste standard», «valutazioni sulla sicurezza del processo produttivo», «inchieste speciali sull’ambiente». (Apple Audits 2011, gennaio 2012). Un ex dirigente del team che sovrintendeva alle ispezioni però ha ammesso: «Vi è da parte dell’intera compagnia un impegno genuino all’osservanza del codice di condotta. Ma portarlo a un livello più alto e indurre cambiamenti reali contrasta con la pratica della segretezza e gli obiettivi economici, per cui non possiamo andare oltre» (Charles Duhigg e David Barboza, In China Human Costs are Built Into an iPad, New York Times 25 gennaio 2012).
(…) È un dato di fatto che Apple vuole che i suoi computer e iPhone siano consegnati in tempi brevi per soddisfare la domanda mondiale. La corporation preme sui fornitori come Foxconn perché competano gli uni contro gli altri. Per soddisfare la produzione veloce e i termini di consegna, la Foxconn trasferisce la pressione sugli operai. (…)
Il più grande del mondo
Foxconn, la cui casa madre è la Hon Hai Precision Industry fondata a Taiwan nel 1974, è oggi il più grande produttore a contratto di elettronica del mondo. (…). La Foxconn ha raggiunto il suo status di leader industriale globale in tre fasi. La prima l’ha vista avanzare nella Cina continentale grazie alla strategia delle zone economiche speciali decisa da Pechino nel primo periodo di riforme. (…) Nel 1988 Foxconn impianta la sua prima fabbrica oltre lo Stretto a Shenzhen, con una forza lavoro di 150 migranti provenienti dalle campagne del Guangdong, 100 dei quali erano donne. Al primo piano della fabbrica c’era la mensa, dal secondo al quinto piano le linee di produzione, al sesto piano i dormitori. (…). La seconda fase avviene negli anni ’90 e sfrutta la grande offerta di lavoro a buon mercato dei migranti cinesi interni. (…) Al volgere del XXI secolo Foxconn ha consolidato i suoi centri di produzione sul Delta del Fiume delle Perle a sud e il Delta dello Yangtze a est, dove i governi locali di Shenzhen, Shanghai e Kunshan favoriscono gli investimenti con facilitazioni su tasse, terra, infrastrutture e lavoro.
Nel terzo e ultimo stadio dell’ascesa la compagnia stabilisce una posizione di monopolio attraverso fusioni strategiche (che le consentono l’integrazione delle fasi di produzione dall’estrazione delle materie prime all’assemblaggio finale) e ricollocazione di strutture produttive in tutta la Cina. (…)
(…) Nel 2008 la produzione della compagnia taiwanese costituisce il 3,9% di tutto l’export cinese. Nel 2011 Foxconn raggiunge il 60esimo posto delle Global 500 di Fortune, dal 112esimo posto dell’anno precedente, segnando un significativo 60,5% di aumento delle entrate, che raggiungono i 95,2 miliardi. (Cnn Money, 25 luglio 2011). (…)
Misure un po’ troppo speciali
Dopo i suicidi a catena, e sotto un’enorme pressione sociale, la Foxconn ha adottato una serie di misure: aumento dei salari, riduzione degli straordinari, installazione di reti di sicurezza, arruolamento di esperti psicologi, costituzione di un centro per la salute dei lavoratori, apertura di una linea telefonica di assistenza agli operai. Ma una giusta valutazione di queste misure può venire solo verificando quel che è accaduto e ascoltando i lavoratori.
Incremento dei salari. La Foxconn si era impegnata ad aumentare i salari del 30% a partire dall’1 giugno 2010 (…). Ma poiché il salario minimo a Shenzhen nel frattempo è aumentato, l’incremento di 100 rmb accordato dalla Foxconn è stato solo del 9,1% più alto del salario minimo. (…) Comunque i salari per molti lavoratori non sono aumentati. Ad esempio, per i produttori alla linea il salario era di 1800 rmb a maggio e di 2000 a luglio, ma contemporaneamente la compagnia ha eliminato una serie di benefit, come aumenti di anzianità e premi trimestrali. Inoltre, riferiscono i lavoratori, è aumentata la produzione e l’intensità del lavoro, e quando lo straordinario mensile supera le 80 ore, non è pagato. A ciò si aggiunga che gli studenti reclutati nelle scuole professionali non hanno visto nessun aumento anche se fanno lo stesso lavoro degli altri.
Il centro di assistenza medica. La Foxconn ha aperto subito il centro di cura per i dipendenti e anche la linea telefonica di assistenza, ma nella nostra inchiesta abbiamo scoperto che il Centro non solo non va incontro ai bisogni degli operai ma riferisce alla direzione le informazioni raccolte attraverso le richieste di aiuto e le rimostranze, infrangendo la privacy e mettendo sotto pressione i lavoratori.
Di fatto la prestazione di “cure” è uno strumento per monitorare i problemi dei dipendenti e tenerli sotto controllo. (…) Se un lavoratore è sospettato di problemi psicologici entro 24 ore sarà costretto a lasciare volontariamente il lavoro.
La condizione degli operai. Nell’inchiesta abbiamo appurato che il 56,3% di coloro che hanno risposto non aveva lavorato alla Foxconn per più di sei mesi. Il tasso di ricambio dei dipendenti della compagnia è molto alto e i numeri grandi. Sebbene i salari e i benefits siano più alti di quelli di altre fabbriche, la compagnia non riesce a trattenere i lavoratori. (…)
Lavoratori sul gradino più basso
Nel processo di produzione gli operai occupano il gradino più basso. «I lavoratori vengono dopo le macchine e da queste vengono logorati» è stato il penetrante riassunto del rapporto uomo-macchina fatto da un operaio. «Sono solo un granello di polvere nel reparto». Questo è il «rinnovato» senso di sé che emerge dopo le innumerevoli reprimende dei responsabili del settore e dei capi reparto. Giorno dopo giorno il lavoro ripetitivo fa sì che gli operai meno capaci di resistere diminuiscano la propria autostima mentre il senso delle loro vite viene eroso. Quel che ci ha intristito sono state le loro tragiche condizioni, la loro disperazione, e dopo che ne sono diventati consapevoli, la loro mancanza di alternativa.
(…) Il dormitorio non è un luogo dove i lavoratori possano riposare o rilassarsi, e a parte le pessime condizioni di molti dormitori, lo stile di conduzione è aspro e irragionevole: i lavoratori non possano lavare o stirare i propri abiti, non gli è permesso usare asciugacapelli e devono ritirarsi a dormire entro le 23. Chi sgarra subisce multe pesanti. Secondo le regole vigenti, coloro che vengono da una stessa città non possono dormire insieme, e neppure chi lavora nel medesimo reparto. È un sistema che divide, atomizza, separa le relazioni di vita e sociali fuori dalla produzione. (…).
All’interno di un sistema di lavoro e dormitorio così fortemente repressivo verso i corpi, le menti, gli spazi vitali, una persona normale può essere facilmente condotta al collasso. Molti nelle risposte hanno usato termini come «gabbia» e «prigione» per descrivere le loro sensazioni riguardo alla Foxconn. Certo può essere questa l’unica ragione che ha spinto al suicidio. Nel corso dell’inchiesta abbiamo incontrato lavoratori che hanno lasciato la compagnia. Quando se ne sono andati molti hanno gridato «Ho licenziato il mio capo!»; «Finalmente ho lasciato la Foxconn!».
(…) Che sia lo stato o il capitale, nessuno ha il diritto di privare i lavoratori della vita e della dignità in nome dell’accumulazione di profitti. Questo tipo di sistema economico globale può e deve essere cambiato.
Suicidio o omicidio? In questo caso il suicidio è un omicidio.
 
da “il manifesto”

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