Qui di seguito due articoli redazionali e una intervista con Arundathi Roy pubblicati da Contropiano nei mesi scorsi. Una documentazione utile per sapere e per capire cosa avviene in India e che oggi investe anche l’agenda delle relazioni internazionali dell’Italia.
Terra contro acciaio
Dalla Val di Susa all’Orissa in India. (da Contropiano del 6 luglio 2011)
In questi giorni in Italia la questione dei territori e del bene comune ha visto nella Val di Susa, una dimostrazione limpida di resistenza popolare, di messa in discussione delle logiche del profitto che vanno a scapito della collettività.
La questione dei beni comuni e della difesa del territorio contro una idea di sviluppo fondata sul profitto, sta coinvolgendo milioni di persone in tutto il globo. Lotte che fino a poco tempo fa potevano essere definite sbrigativamente come residuali, “luddiste”, oggi sono la spia di come il modello di sviluppo capitalistico, di fronte alla crisi economica, energetica e ambientale non sia una soluzione di sviluppo compatibile con il pianeta.
E’ da diversi anni che migliaia di contadini e di popolazioni tribali combattono contro l’idea di sviluppo della nuova India, la più grande democrazia del mondo cosi definita dagli occidentali.
Questa titanica battaglia ha già provocato centinaia di morti. I settori popolari hanno una percezione diretta di quello che sarà il loro destino se il governo , i settori imprenditoriali indiani e stranieri attueranno i loro propositi. Il loro destino sarà migrare verso le megalopoli indiane aumentando la popolazione dei ghetti. Lo sviluppo industriale indiano, se visto sul piano generale, porta ad una maggiore disoccupazione, le aziende, le nuove miniere, non assorbono la massa di lavoratori della terra. Inoltre questo sviluppo industriale capitalista distrugge il territorio, incrementando quel processo di infarto ecologico del pianeta. Non è quindi una battaglia che contrappone il nuovo al vecchio, ma la vita alla morte.
La sinistra indiana ufficiale si è scontrata direttamente contro questi processi di resistenza popolare, appoggiando lo sviluppo capitalistico indiano, nelle ultime votazioni del Bengala, dove i comunisti ufficiali governavano da diversi anni hanno perso sonoramente, non sapendo cogliere la richiesta che veniva dalle masse contadine e tribali dell’India.
Non è un caso che vi sia in questi ultimi anni un risveglio potente di quello che è il movimento naxalita, lo storico movimento rivoluzionario indiano nato dentro le lotte degli anni 60 influenzato dal maoismo. Il principale partito naxalita il Partito Comunista Indiano-Maoista (è considerato illegale in India) viene oggi ritenuto il problema principale di ordine interno dallo stesso Governo centrale indiano. Attualmente in India i maoisti hanno creato un vero e proprio corridoio rosso che attraversa verticalmente tutta il paese da nord a sud, mettendosi alla testa delle lotte e rivendicazioni dei contadini e delle popolazioni tribali.
In questi giorni si è aperta una nuova battaglia dei contadini per la difesa del loro territorio nell’Orissa (situata nel centro-est dell’India), una regione dove le forze maoiste sono presenti ed hanno numerose basi della guerriglia popolare naxalita.
Gli abitanti dei villaggi stanno organizzando catene umane e barricate per impedire la costruzione di una industria siderurgica. Sahu Satikanta di 14 anni, ama andare a scuola. Ma in questi giorni preferisce partecipare alla protesta contro l’installazione di una fabbrica, che provocherà l’evacuazione di più di 600 famiglie nel villaggio costiero di Govindpur nello stato orientale indiano di Orissa. Mentre sua madre e i suoi vicini si trovano in strada, formando una barricata umana, Sahu preleva l’acqua per bere e canta una canzone di tanto in tanto. La canzone parla del governo dell’Orissa, e della decisione di uccidere il suo villaggio per fare spazio a un impianto in acciaio che costa 12.000 milioni di dollari.
L’impianto deve essere costruito e gestito dalla Pohang Steel Company (Posco, Pohang Steel Company), con una capacità di quattro milioni di tonnellate d’acciaio, è considerato il più grande investimento straniero diretto in India, la terza più grande economia dell’Asia.
Il governo dell’Orissa dice che la fabbrica ha bisogno di circa 1.500 ettari, di cui solo 60 sono terreni privati. Il resto è terra del governo e delle foreste. Ma questi 60 ettari sono i più controversi, perché sono dove abitano 613 famiglie. Queste famiglie sono concentrate in Govindpur e Dhinkia il villaggio vicino, dove si guadagnano da vivere coltivando la terra. Nelle prime file delle catene umane ci sono donne e bambini, tra cui Sahu. “Mi piace andare a scuola. Ma molti giorni sono qui perché questa è la nostra vita”, dice.”Posco, noi non vogliamo andarcene!. Non permetteremo che i piani di Naveen Patnaik (primo ministro dell’Orissa) abbiano successo “, ha detto.
Mentre l’India cerca piani di industrializzazione e cerca di attrarre investimenti stranieri, si trova ad affrontare la resistenza degli abitanti dei villaggi e dei contadini non disposti a lasciare la terra.
Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno da Assocham ci sono numerosi ritardi negli appalti legati ai terreni dove si parla di investimento di 100.000 milioni di dollari, mentre almeno 22 progetti principali legati alle industrie dell’acciaio (82.000 milioni) sono in stallo a causa delle proteste di contadini e attivisti.
Le protestaste nel villaggio Dhinkia ha coinvolto più di 2.000 persone contro Posco Il governo dell’Orissa ha schierato contro questi contadini circa 800 poliziotti. Gli abitanti del villaggio, organizzati in uno specifico comitato di lotta hanno formato una barricata di tre livelli all’ingresso del paese per mantenere una vigilanza permanente. Il governo dell’Orissa ha detto che il processo di requisizione della terra sarà pacifico. Tuttavia, i manifestanti e gli attivisti sostengono che il governo è stato costretto a chiamare un gran numero di poliziotti nella zona.
Dei 1.500 ettari necessari per il progetto, circa 1.200 sono “terreni forestali da richiede al Ministero federale dell’ambiente”, ha dichiarato il ministro dell’industria di Orissa, Raghunath Mohanty. “Circa 245 ettari sono terreno del governo, e vi sono solo 62 ettari di terreno privato, con 600 famiglie da sfollare”, ha detto Mohanty.
Malgrado il governo abbia deciso di interrompere temporaneamente gli acquisti di terreni in vista delle proteste, gli abitanti dicono che lotteranno fino alla fine e terranno un presidio permanente.
In questo mese, numerosi studenti hanno aderito alla protesta, insieme a diverse migliaia di donne ed anziani.
“Il governo dice che il programma di acquisto di terreni sarà pacifico, ma la verità è che vogliono espropriare le nostre terre con la forza” ha detto il leader del comitato di lotta del villaggio Prashant Paikray. Gli attivisti temono che il governo stia progettando una ripetizione di Kalinganagar, un’area di Jajpur in Orissa. Qui, nel gennaio 2006, le popolazioni tribali avevano lottato e protestato contro la costruzione di un impianto siderurgico del Gruppo indiano Tata, la polizia reagì con violenza, uccidendo 12 persone.
Abhay Sahoo, uno dei leader del movimento di protesta, ha chiesto che cosa vuole davvero il governo “quando le generazioni future potrebbero essere felici con la nostra economia di base, attraverso il betel, il pesce e il riso…senza questi elementi si vuole solo semplicemente distruggere il nostro ambiente”.”Questa è una zona del paese dove sono stati gravemente violati i diritti Foresta Act del 2006, e vari comitati nominati dal governo hanno addirittura anche confermato tutto questo”, ha detto Sahoo.
Si sono provate vie interlocutorie con i governi locali e nazionali, ma gli interessi in campo delle multinazionali straniere e del crescente imperialismo indiano hanno di fatto azzerato il piano della mediazione.
Finora solo le barricate umane e la determinazione d’acciaio degli abitanti del villaggio ha impedito che l’acciaio e il cemento mangi la loro terra. Quello che sta succedendo in questi villaggi dell’Orissa è la stessa cosa di ciò che succede nel Chhattisgarh (regione centrale dell’India), dove da una settimana i naxaliti, assieme ai contadini e alle popolazioni tribali, hanno scatenato una offensiva contro l’ennesima occupazione da parte delle truppe militari e dei corpi speciali di polizia, e non passa giorno senza dare notizia di nuovi focolai di ribellione e proteste.
Oggi in Val di Susa, la difesa del territorio ci sembra molto più globale se vista in rapporto a quello che succede nelle medesime ore e giorni in India. Lo slogan ma, mati, manush, che significa “madre, terra, popolo” che riecheggia nelle pianure e foreste indiane, non è poi cosi diverso da quello che attivisti e abitanti della Val di Susa hanno scandito il 3 luglio davanti all’arroganza della polizia, della politica e del mondo imprenditoriale.
Bibliografia
-Inchiesta, rivista trimestrale, n.172 aprile-giugno 2011
-India, barricate umane contro il progetto siderurgico, di Sujoy Dhar, odiodeclase.blogspot.com, 4 luglio 2011
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Sulla democrazia indiana e i maoisti. Una intervista ad Arundhati Roy
“Viviamo in un paese in cui stiamo tentando di praticare il discorso sofisticato della democrazia ma allo stesso tempo stiamo colonizzando noi stessi”. Intervista di Krishna Pokharel. Da Contropiano del 27 maggio 2011.
La scrittrice ed attivista Arundhati Roy, vincitrice nel 1997 del premio Man Booker per “Il Dio delle piccole cose” è indubbiamente l’iconoclasta numero uno dell’India. Durante il lancio dei suoi due ultimi libri – “Broken republic” e “Walking With the Comrades” – venerdì sera, ha difeso le tattiche militari dei maoisti indiani nel suo pezzo più polemico:
“Quando avete 800 CRPF [Forza di Polizia della Riserva Centrale, una forza paramilitare utilizzata per combattere l’insorgenza interna] che marciano tre giorni nella foresta; che circondano un villaggio nella foresta, bruciandolo e stuprando le donne, cosa dovrebbero fare i poveri? Possono gli affamati fare lo sciopero della fame? Può la gente senza denaro boicottare i beni di consumo? A quale sorta di disobbedienza civile possiamo chiedergli di aderire?” Ha fatto leggermente marcia indietro dicendo: “Ma allo stesso tempo ciò che succede nella foresta in termini di resistenza non può uscire dalla foresta.”
In “Walking With the Comrades”, Roy racconta del tempo passato l’anno scorso nella foresta con gli insorgenti maoisti, attivi in larghe fasce dell’India centrale ed orientale. In “Broken republic” narra il carattere della democrazia indiana. Entrambi i libri sono stati pubblicati dalla Penguin India.
Nella conversazione con l’economista Amit Bhaduri, nell’anfiteatro dell’India Habitat Center di New Delhi, Roy si è intrattenuta a lungo su questi temi. “E’ vero che usurpare la terra, colonizzare la terra dei poveri, è oggi al centro del dispiegamento della guerra civile nel nostro paese. Guardate la mappa dell’India odierna: le foreste, gli adivasi, le risorse naturali, i maoisti e la guerra civile sono tutti accatastati uno sopra l’altro. Occorre essere ciechi per non notare la connessione verticale tra tutti questi elementi.”
I toni anticapitalisti dominavano nel dibattito serale, nel quale Roy ha offerto un’analisi delle tattiche linguistiche del capitalismo.
“Quando definite la bauxite – che si trova nelle montagne – una ‘risorsa’, state cadendo automaticamente nel linguaggio del capitalismo estrattivo. Perché, per gli adivasi, la bauxite fuori dalle montagne è inutile; la bauxite dentro le montagne è la fonte di vita, la fonte della speranza, la fonte di tutto. La bauxite estratta vale per alcune corporation quattromila miliardi di dollari, ma per una cultura che non la contempla come una risorsa, essa vale niente.”
Ha aggiunto: “Addirittura il linguaggio stesso ha in qualche modo cospirato per farci pensare in determinati modi.”
Roy ha affermato che i governi statali (l’India è una confederazione, ndr) hanno firmato centinaia di memorandum di accordo con le compagnie minerarie per operare sulla terra tribale. Ha affermato che molti di questi accordi non sono stati realizzati a causa dell’ostinazione e la flessibilità della lotta che le popolazioni più povere stanno portando avanti contro le corporation più ricche.”
“Ma queste corporation minerarie sono nate storicamente per vincere le loro battaglie. Dunque, semplicemente aspettano come pigri predatori… Se non sarà il Salwa Judum [un gruppo armato supportato dallo stato dello Chhattisgarh per combattere i maoisti, ndr], sarà l’esercito. Siamo di fronte alla prospettiva di una democrazia militarizzata, se ciò non è un ossimoro.”
“Non è questo un problema generale del capitalismo?” ha chiesto Bhaduri.
“E’ un problema generale”, ha concordato Roy.
Nella conversazione durata 50 minuti con Bhaduri, Roy ha anche criticato le classi sociali medie e superiori del paese. “Viviamo in un paese in cui stiamo tentando di praticare il discorso sofisticato della democrazia e allo stesso tempo stiamo colonizzando noi stessi.” Roy ha affermato che la “lotta secessionista” di maggior successo in India è stata “la secessione delle classi medie e superiori in uno spazio esterno dal quale guardano in basso e chiedono cosa ci fa la nostra bauxite nelle loro montagne, cosa ci fa la nostra acqua nei loro fiumi, cosa ci fa il nostro legname nelle loro foreste.”
La signora Roy ha affermato che l’India continua ad essere una “sciarada di democrazia in cui ci sono tutti i rituali, ci sono tutte le istituzioni democratiche che appaiono funzionanti.”
“Avete tutte queste istituzioni – i tribunali, i mezzi di comunicazione, il parlamento – tutte queste cose sono state svuotate, come involucri messi al loro posto”. Roy spiega il perché vede la democrazia indiana ridotta a rituale. “Dico quel che direbbe ciascun povero uomo o donna, ciascun adivasi che vive nella foresta – Se loro ci chiedessero di esporgli un’istituzione democratica del paese alla quale si possa fare appello e si possa essere ascoltati, vi posso garantire che non c’è risposta a questa domanda. Loro non possono andare in tribunale. Se votano, è come votare per questo o quell’altro sapone, entrambi posseduti dalla stessa holding.”
Roy ha detto che lei sta dall’altra parte, quella dei “movimenti di resistenza.”
“Da lì io mi volto e pongo ai nostri compagni la domanda: ‘Lasceremo la bauxite nella montagna? Questa credo sia la vera questione che si pone davanti a noi tutti”.
da The Wall Street Hournal, 24 maggio 2011
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Il “continente india”
Bengala e Kerala, due sconfitte elettorali nel segno dell’apertura al capitalismo e della sottovalutazione dei contadini. La sconfitta della vecchia sinistra e il nuovo movimento comunista (da Contropiano del 15 maggio 2011)
Pochi mesi fa il Primo Ministro Manmohan Singh, indicava il movimento maoista come “la più grande sfida per la sicurezza interna”. Questa dichiarazione è stata letta dalla stampa occidentale, come una “sparata” propagandistica del governo indiano, alla ricerca di maggiore stabilità “inventandosi” una minaccia interna, appariva tuttavia già allora singolare che utilizzasse i maoisti e non gli islamisti….
Tuttavia le parole del ministro erano sincere, il “pericolo” naxalita esiste e assume oggi una importanza centrale nella vita del paese. La recente sconfitta del PCI-marxista nel West Bengale, è stata messa in relazione da molti analisti con lo sviluppo del movimento naxalita che attraverso il suo partito principale PCI-Maoista ha appoggiato indirettamente il partito Trinamul Congress di Mamata Banerjee, che difendeva gli interessi contadini contrapposto alla sinistra indiana filo-occidentale(1). La retorica dello stato governato dai comunisti del PCI-marxista si è sgretolata di fronte all’incapacità di dare rappresentanza alle istanze popolari contadine. Non è secondario ricordare che il governo locale del Bengala non è stato secondo ai nazionalisti indu rispetto alle tecniche di repressione, alle deportazioni di massa e alle esecuzioni sommarie di quadri maoisti. La sconfitta quindi della sinistra ufficiale in West Bengala se vista sotto un altro profilo rappresenta un nuovo segnale di sviluppo del nuovo movimento comunista indiano.
I Maoisti pur rappresentando la nuova sinistra hanno una storia ormai quarantennale. Sono conosciuti come “Naxaliti” a causa della violenta rivolta popolare, promossa dai primi maoisti indiani nel 1967, che ha avuto inizio nel villaggio di Naxalbari del Bengala Occidentale.
Anche se la rivolta fu schiacciata dalla polizia, nel corso degli anni in India i maoisti sono stati capaci di sviluppare un forte movimento con diverse articolazioni (sindacali, sociali, militari, politiche) e controllano vaste aree dell’India centro-orientale, che viene definita il cosiddetto “corridoio rosso”.
Questo corridoio si estende negli stati di Jharkand, West Bengala, Orissa, Bihar, Chhattisgarh e Andhra Pradesh e raggiunge anche l’Uttar Pradesh e Karnataka. I maoisti e gruppi affiliati a loro sono attivi in più di un terzo dei distretti che compongono lo stato indiano centrale.
Il comandante militare dei maoisti è Koteshwar Rao, altrimenti noto come Kishenji. Secondo quanto riferito, ha subito una paralisi temporanea nel giugno 2010 quando un proiettile della polizia lo ha colpito al ginocchio.
Normalmente comunica regolarmente con la stampa. Kishenji era poco conosciuto fino al gennaio 2011 quando ha rilasciato una dichiarazione dove ipotizzava che l’India potrebbe soccombere di fronte ad una rivoluzione maoista entro il 2025. Una simile dichiarazione è indirettamente supportata dall’economista Samir Amin, che vede nel processo naxalita la possibile via di volta per una rivoluzione indiana, che avrebbe sotto il profilo mondiale un importanza pari a quella scatenata in Russia e in Cina nel secolo scorso.
Le ultime stime suggeriscono che il solo PCI-Maoista il principale partito naxalita conta almeno 60.000 combattenti armati, con migliaia di sostenitori organizzati nelle diverse leghe contadine, sindacati e associazioni studentesche e femminili.
La maggior parte delle loro armi sono state recuperate dalle basi di polizia, attraverso assalti e incursioni.
Gli analisti vedono la longevità della ribellione maoista analizzando il sostegno locale che ricevono. Nel corridoio rosso, i maoisti hanno creato delle vere e proprie basi rosse, costruendo infrastrutture (ospedali, scuole, ecc..) e sperimentando forme di governo popolare, sono esperienze realizzate tuttavia unicamente dentro le zone delle foreste.
I naxaliti dicono che sono in lotta per i diritti delle tribù indigene e le popolazioni povere rurali, represse dai governi per decenni.
I maoisti dichiarano di rappresentare interessi locali sulla proprietà della terra e la distribuzione equa delle risorse.
In ultima analisi dicono che vogliono stabilire una “società socialista”, rovesciando l’India “semi-coloniale, semi-feudale”, attraverso la lotta armata. Recentemente all’interno del movimento maoista indiano sia è aperta una importante discussione in merito al ruolo neo-imperialista dell’India, che pur non modificando la strategia della guerra popolare dei naxaliti ha tuttavia posto l’accento sul ruolo internazionale che oggi il movimento maoista indiano riveste per quanto riguarda gli equilibri politici nel Sud-ASIA.
Pur trovando notevoli difficoltà ad espandersi nelle aree urbane i naxaliti sono di fatto la forza principale e più dinamica delle zone rurali e delle foreste. Sono la forza che rappresenta direttamente gli interessi dei settori più poveri dell’India, quella massa umana, schiacciata sia dalla borghesia locale sia dai meccanismi internazionali dell’imperialismo. La capacità dei maoisti è stata quella di individuare il soggetto sociale che rappresenta la contraddizione non risolvibile dentro gli attuali assetti sociali-politici indiani, e questo è la vera spiegazione della loro continua crescita. All’interno dell’esercito popolare del PCI-maoista non è inusuale trovare guerriglieri di provenienza tribale assieme a contadini o poveri scappati dalle città, dove “vivere” è permesso a pochi.
Sotto questo profilo il fenomeno naxalita non a eguali, perché pone immediatamente al centro la questione sociale a differenza di altri movimenti armati oggi a livello internazionale che hanno come primo obiettivo il piano dell’indipendenza nazionale.
L’esercito regolare indiano è stato mandato contro i maoisti nella stesso modo in cui è stato utilizzato in Kashmir. Tuttavia tale mossa è stata letta, anche da settori anti-maoisti governativi come una ammissione di debolezza da parte del governo, che non è riuscito a risolvere tale contraddizione attraverso l’uso della politica. E’ ormai impossibile negare i progressi dei maoisti indiani in quello che si può considerare il “continente India”.
Nel corso degli anni i maoisti sono riusciti a lanciare una serie di attacchi militari di vasta portata contro le forze di sicurezza indiane.
Nel 2009, i naxaliti sono riusciti a controllare la quasi totalità del distretto del Lalgarh nel West Bengala ad appena 250 km dalla capitale dello stato, Calcutta, attraverso una vasta azione del loro esercito popolare.
Per molti mesi, i maoisti, sostenuti dagli abitanti dei villaggi locali, hanno resistito contro migliaia di forze paramilitari ed esercito (spesso supportate o guidate dagli stessi partiti della sinistra “occidentale” indiana come il PCI marxista). I maoisti avevano realizzato la prima vera e propria “zona liberata”, e solo dopo un massiccio utilizzo delle forze di sicurezza indiane (coadiuvate da istruttori USA, GB, e Israeliani) si sono ritirati. Questa esperienza può essere definita la prima nuova Comune di Parigi del nuovo millennio.
Nell’aprile del 2010 i maoisti per fermare le truppe paramilitari che stavano organizzando una vasta operazione nella giungla nello stato centrale di Chhattisgarh, hanno scatenato una vera e propria battaglia uccidendo in un solo giorno almeno 76 soldati governativi. La stampa indiana ha definito questa battaglia come l’attacco più importante portato dai maoista contro le forze di sicurezza indiane.
Quasi ogni settimana, i ribelli maoisti sono accusati di piccole scaramucce e di azioni terroristiche in tutto il Nord-est dell’India – le azioni più utilizzate sono il sabotaggio: far saltare in aria binari ferroviari, distruggere macchinari delle multinazionali, o direttamente gli attacchi alle stazioni di polizia e dell’esercito.
Nel 2010, i maoisti hanno dovuto affrontare la più grande offensiva mai scatenata prima contro il movimento naxalita: la cosiddetta operazione Green Hant. Quasi 80.000 truppe federali, più decine di migliaia di paramilitari e poliziotti hanno preso parte all’operazione attraverso diversi stati. Utilizzando elicotteri e aerei da guerra, terrorizzando e deportando le popolazioni solidali con i guerriglieri. La vastità dell’operazione ha tuttavia prodotto un vasto movimento di protesta contro le leggi anti-terrorismo, promossa da importanti intellettuali indiani come nel caso di Arundathy Roy (2). Questa campagna contro la repressione oltre ad avere uno sviluppo interno in India ha permesso anche sotto il profilo internazionale di fare più luce sulle attuali contraddizioni della più “grande democrazia del mondo” portando in rilievo lo sviluppo del movimento naxalita.
I guerriglieri sono stati respinti in profondità nella loro roccaforti nella giungla, ma hanno continuato a compiere attacchi “mordi e fuggi” riuscendo a mantenere intatta la loro influenza dentro il “corridoio rosso”.
Il governo indiano, a sua volta si è impegnato a reprimere i ribelli ancora più duramente ma sul piano politico la Green Hant è di fatto stata una sconfitta per il governo. L’appoggio dei Partiti Comunisti ufficiali a questa campagna di terrore scatenata contro i contadini e i naxaliti si è rilevato un bumerang come nel caso delle recenti votazioni del West Bengala. Il West Bengala è stato uno degli stati dove la repressione è stata maggiormente feroce e dove i naxaliti sono riusciti anche sotto il profilo militare a resistere efficacemente.
Stanno emergendo divisioni all’interno del governo centrale su come affrontare la ribellione, ma anche tra Delhi e vari stati indiani colpiti dalla rivolta. Vi sono disaccordi su e se impiegare l’esercito direttamente contro i ribelli, alcuni stati stanno di fatto creando delle zone cuscinetto tra loro e le zone controllate dai naxaliti. Su una questione però rimangono uniti: la scarsa volontà di avviare un qualsiasi tipo di dialogo significativo con i maoisti per una soluzione pacifica della guerra di classe che oggi attraversa il “continente indiano”.
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