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Siria: una “rivoluzione” mercenaria

Appoggio al piano di pace proposto da Kofi Annan e già accettato da Assad, ma anche un ultimatum al regime siriano affinché lo metta in pratica: è questo in sostanza ciò che la seconda conferenza dei cosiddetti ‘amici della Siria’ ha deliberato ieri ad Istanbul.

Ma la decisione più importante riguarda la divisione dei compiti tra le cosiddette democrazie occidentali e le petromonarchie per quanto riguarda il sostegno ai ribelli. Ad un anno dall’inizio dell’insurrezione armata contro Damasco la situazione è in stallo, ed anzi in molti casi l’esercito governativo ha guadagnato o riguadagnato posizioni, mettendo a rischio una strategia di destabilizzazione evidentemente mal congegnata. E quindi la decisione di ieri va nel senso di imprimere una pericolosa accelerazione all’escalation di guerra nel paese: le petromonarchie del golfo si sono impegnate a ricoprire letteralmente di finanziamenti il cosiddetto Esercito Libero Siriano, garantendo uno stipendio a tutti i suoi effettivi e a coloro che da ora in poi saranno in questo modo incentivati a passare dalle truppe governative a quelle dei ribelli. Formalmente i governi del Consiglio di Cooperazione del Golfo – Arabia Saudita, Qatar e soci – inonderanno di soldi il Consiglio Nazionale Siriano che dopo aver trattenuto una parte dei finanziamenti gireranno il resto ai vertici dell’ELS per pagare i propri combattenti. 
Da parte loro invece Stati Uniti e Gran Bretagna in particolare si sono impegnati a garantire non meglio precisati aiuti umanitari ai profughi e alla popolazione siriana. L’allarme sulle infiltrazioni jihadiste e qaediste nelle truppe dell’opposizione sono così numerosi e ben documentati da rendere indigeribile, per Londra e Washington, il sostegno militare diretto ai miliziani dell’ELS e delle altre bande che scorazzano nel paese mediorientale. Lo spettro che gli utili sherpa degli interessi occidentali possano presto o tardi rendersi autonomi e perseguire obiettivi diversi da quelli sostenuti da USA e Gran Bretagna è ormai più che concreto, visto il ruolo egemone nella vicenda di paesi che sostengono la galassia jihadista in tutta la regione. 
Se apparentemente il sostegno economico diretto ai combattenti dell’opposizione armata siriana può permettere di rinvigorire le stanche e scarse forze a disposizione dell’insorgenza esterna, il fatto che i miliziani dell’ELS saranno stipendiati da potenze straniere – e neanche particolarmente democratiche – toglie quel poco di credibilità che era rimasta al progetto insurrezionale del CNS, e trasforma anche formalmente i presunti ‘combattenti per la libertà’ in mercenari tout court. Un segnale di estrema debolezza e quasi di disperazione per un variegato e litigioso fronte che da un anno si è impantanato in una guerra per procura contro la Siria – e l’Iran – senza ottenere grandi risultati.
Ufficialmente la conferenza di Istanbul ha visto uno stop nelle richieste di ‘regime change’ finora avanzate da praticamente tutti i componenti del club degli ‘amici della Siria’ e solo i rappresentanti dell’impaziente governo turco hanno ribadito che Assad si deve togliere di mezzo. Anche se poi, a ben guardare, la richiesta da parte della conferenza di Istanbul a Kofi Annan affinché imponga un ultimatum ad Assad per la messa in pratica dei punti previsti nel suo piano – cessate il fuoco, ritiro della truppe governative dalla città e apertura dei corridoi umanitari – lascia spazio alla possibilità di un intervento militare esterno con copertura da parte dell’ONU nel caso in cui Damasco non obbedisca. Anche se c’è l’ostacolo non facilmente aggirabile del veto da parte di Cina e Russia ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi l’uso della forza contro la Siria.
Ad aumentare la tensione nell’area e a dimostrare che non è una soluzione negoziale e concordata quella che potenze regionali e grandi potenze cercano sulla vicenda siriana è il riconoscimento del Consiglio Nazionale Siriano come “legittimo rappresentante di tutti i siriani» e «l’organizzazione-ombrello sotto cui i gruppi dell’opposizione si stanno riunendo». 

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