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In Turchia è caccia al curdo: accoltellamenti, aggressioni e arresti

Le vicende legate alla veemente protesta delle popolazioni curde contro il sostegno più che esplicito accordato dal regime islamista turco alle milizie dello Stato Islamico sia all’interno dei confini del paese sia sul campo di battaglia di Kobane, ha riacceso in Turchia una pesante persecuzione nei confronti degli esponenti curdi che vede protagonisti gli apparati repressivi dello stato, le formazioni islamiche estremiste e gli ambienti dell’estrema destra nazionalista.

Numerosi gli episodi negli ultimi giorni di quelle che appare come una vera e propria ‘caccia al curdo’, in un crescendo che i media italiani si sono ben guardati dal riportare.

Uno riguarda il calciatore Deniz Naki (nella foto), che proprio in queste ore ha deciso di lasciare la Turchia dopo un pestaggio a sfondo razzista subito domenica scorsa ad Ankara. “Non ho nessuna intenzione di tornare” ha scritto ieri dalla Germania il giocatore, in un messaggio postato su Facebook per spiegare la sua decisione. Naki, che aveva recentemente espresso il suo sostegno ai guerriglieri e ai volontari curdi che stanno difendendo la cittadina siriana di Kobane dall’assedio dei jihadisti del Califfato, giocava nel Gencelerbirligi, una delle più importanti squadre di Ankara, che milita nella Super league, cioè la serie A del campionato turco di calcio.
Domenica scorsa, dopo averlo riconosciuto, tre uomini hanno iniziato prima a insultarlo per le sue origini curde e alevite (minoranza sciita che conta 15 milioni di membri in Turchia, considerata un corpo estraneo dagli ambienti più estremisti della maggioranza sunnita e spesso sottoposta a persecuzioni e attacchi al pari del popolo curdo). “Mi insultavano chiedendomi: ‘Sei uno sporco curdo, sei Deniz Naki?’ – ha spiegato il giocatore – poi hanno detto: ‘Che sia maledetta Kobane, che sia maledetta Sinjar’. Ho provato a calmarli, ma all’improvviso uno di loro mi ha colpito ad un occhio, ho gli ho tirato un pugno per difendermi e sono scappato”. Mentre si allontanava il giocatore è stato minacciato: “Non è stato abbastanza il primo avvertimento? Questo è il secondo e l’ultimo. Lascia il paese, questa città e questa squadra!” gli hanno urlato gli aggressori, ha raccontato il calciatore che martedì ha lasciato la Turchia.

E’ andata invece molto peggio al deputato curdo e membro dell’Assemblea dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) Ahmet Karataş che proprio martedì mattina è stato aggredito fisicamente e accoltellato alla gola e ad una gamba da un assalitore che è penetrato all’interno della sede provinciale di Ankara della formazione politica della sinistra curda. Mentre l’assalitore è fuggito perdendo però il suo telefono all’interno degli uffici dell’HDP, il deputato è stato portato d’urgenza all’ospedale Numune di Ankara perché le sue condizioni sono apparse subito molto gravi.

In una dichiarazione il deputato curdo Sebahat Tuncel ha addossato la responsabilità dell’aggressione al presidente turco Erdogan e al primo ministro Davutoglu che non perdono occasione per attaccare i partiti curdi. Secondo il co-portavoce del Congresso Democratico dei Popoli (HDK), Ertuğrul Kürkçü, il governo ha inasprito la situazione dall’inizio della crisi di Kobanê: dopo il recente incontro del Consiglio Nazionale di Sicurezza i militari turchi sono tornati a svolgere un ruolo più attivo, il che lascia intendere che il governo e gli apparati militari hanno lanciato un ennesimo piano ‘antiguerriglia’ diretto ad attaccare tutte le espressioni politiche della sinistra curda oltre che altre voci dissonanti della società turca. Durante la repressione delle manifestazioni popolari contro il governo, accusato di appoggiare l’Isis contro i curdi a Kobane, le forze di sicurezza turche e gruppi armati dell’estrema destra nazionalista e islamisti hanno in molti casi aperto il fuoco contro la folla, e i manifestanti morti in pochi giorni sono arrivati a più di 40.

Proseguono intanto anche le retate contro i militanti e gli attivisti curdi. Otto persone, di cui cinque minorenni, sono stati arrestati proprio perché accusati da Ankara di aver partecipato agli scontri scoppiati dopo la manifestazione del 1 novembre per Kobanê ad Amed, la principale città del Kurdistan turco (Diyarbakir). La polizia ha arrestato undici persone nel corso di una vera e propria retata e i detenuti sono poi stati rinviati davanti alla corte con richiesta di arresto per “partecipazione a manifestazioni illegali.” Solo tre minorenni sono stati rilasciati anche se sottoposti a misure cautelari. Altre cinque persone sono state arrestate a Malazgirt nel distretto di Muş per aver partecipato anche in quel caso a manifestazioni contro l’assedio di Kobane.

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