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Palestina. I prigionieri vincono il braccio di ferro nel giorno della Nakba

Si è concluso con il raggiungimento di un accordo lo sciopero della fame ad oltranza intrapreso il mese scorso da circa 1.600 prigionieri palestinesi detenuti in Israele. I rappresentanti dei prigionieri aderenti alla protesta si sono riuniti ieri nel carcere di Shikma (Ashqelon, a sud di Tel Aviv) per decidere se le proposte avanzate dalle autorità del servizio carcerario israeliano fossero sufficienti a decretare la fine dello sciopero. L’accordo prevede la revoca dell’isolamento prolungato imposto ad una ventina di reclusi, ha affermato il ministro palestinese per i prigionieri Issa Karake. Prevede inoltre la ripresa dopo diversi anni delle visite dei familiari di primo grado dei detenuti originari di Gaza; alcune restrizioni nell’imposizione di arresti amministrativi; e miglioramenti nelle condizioni generali di reclusione. Le autorità carcerarie hanno accettato di liberare 5 detenuti amministrativi tra i più gravi. L’intesa è stata resa possibile grazie alla mediazione condotta dall’Egitto e dall’Autorità Nazionale Palestinese, che sono riusciti ad ottenere l’avvallo politico di Hamas e della Jihad islamica. Da parte israeliana l’accordo è stato approvato dallo Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) che – secondo una televisione israeliana – ha richiesto ai detenuti l’impegno ad astenersi da attività «sobillatorie» durante la loro reclusione. In caso contrario, avverte asseritamente lo Shin Bet, le intese saranno annullate

Milioni di palestinesi, nei Territori Palestinesi e in Israele, ricordano solennemente oggi la giornata della “Nakba”: la “catastrofe”, nella traduzione in araba della fondazione dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948 che provocò la pulizia etnica di centinaia di migliaia di palestinesi dalla loro terra. Nei Territori Palestinesi, al suono delle sirene, la vita si fermerà stamane per un minuto di raccoglimento. Dopo di che avranno luogo cortei di commemorazione. Ieri, il presidente dell’Anp Abu Mazen ha assicurato che i palestinesi “resteranno solidi come querce ed ulivi” sul proprio territorio, fino alla fine della occupazione israeliana. “Gerusalemme è la chiave della pace” ha aggiunto Abu Mazen. “Non ci sarà alcun accordo di pace che non includa la fine della occupazione israeliana a Gerusalemme, la capitale del nostro Stato”. Nel timore di incidenti, Israele ha rafforzato le misure di sicurezza. Sassaiole di dimostranti palestinesi sono segnalate per ora in alcune località della Cisgiordania. In Galilea (diventata Israele nel ’48) la popolazione palestinese osserva oggi una giornata di sciopero.

Alta tensione e intervento della polizia avevano caratterizzato alla vigilia della giornata della Nakba il contrastato svolgimento nel campus universitario di Tel Aviv della cerimonia indetta da movimenti di sinistra (ebrei ed arabi) in occasione della ‘Nakba: la ‘catastrofè – secondo i palestinesi – che ricorre con la costituzione dello stato di Israele, il 15 maggio 1948. Da giorni la destra israeliana si è scatenata contro la manifestazione e gli echi della protesta si sono sentiti anche alla Knesset (il parlamento israeliano). Nel frattempo all’Università di Tel Aviv la polizia è stata costretta ad intervenire per separare attivisti e studenti che stavano venendo alle mani. Gli studenti di sinistra hanno cercato di osservare un minuto di silenzio in onore dei profughi palestinesi, ma gli attivisti sionisti (fra cui alcuni deputati) hanno colto l’occasione per rumoreggiare e cercare di impadronirsi dei poster preparati dagli organizzatori. “In questo giorno – ha spiegato Saar Skali, un attivista israeliano di sinistra – ricordiamo 64 anni di un dolore che è stato messo a silenzio… Ricordiamo i 530 villaggi (arabi) distrutti e i 750 mila palestinesi costretti all’esilio. Non dimenticheremo i profughi”. Ad accrescere la tensione è giunta la notizia che un docente di storia dell’Università di Tel Aviv, Shlomo Sand (autore del ponderoso libro ‘La invenzione del popolo ebraico”), ha ricevuto una lettera minatoria, che conteneva anche una polverina sospetta. Al termine della manifestazione il deputato comunista Muhammed Barake ha paragonato il comportamento degli studenti sionisti a quello del Ku-Klux-Klan statunitense, mentre gli attivisti di destra hanno invitato gli organizzatori della manifestazione ad andare a dimostrare in Siria.

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