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Chi spinge verso la guerra civile in Siria?

Il primo dato da  registrare è dunque la prevalenza dell’opzione militare  all’interno dell’opposizione siriana che punta  alla guerra civile per arrivare alla presa del potere. Obiettivo che, come ci dimostrano situazioni analoghe, necessita di alcuni passaggi graduali ma al tempo stesso netti e drammatici. Nonostante le formidabili pressioni internazionali e regionali, che vengono dai paesi della NATO e del GCC (Gulf Cooperation Council) e dopo oltre un anno di instabilità politica ed economica,  il Governo e le istituzioni siriane, al contrario di quanto è accaduto di recente in Libia, non si sono sfaldate.

Il Governo Siriano del Fronte Progressista  Nazionale, a guida Baath, ha provato a reagire non solo con l’uso della forza, ma anche con dei passaggi politici. Oltre alle manifestazioni di piazza, la ricerca del consenso è passata attraverso il referendum per le riforme istituzionali e le elezioni, passaggi sicuramente parziali ma che,  insieme all’apertura di inchieste  e alle visite degli ispettori internazionali, avvengono all’interno di un paese che sta vivendo momenti tragici, e attestano che il governo damasceno è alla ricerca di una soluzione politica. Una soluzione  che però non pregiudichi  l’assetto laico, l’ordinamento sociale e l’indipendenza del paese, così  viene ribadito dalle forze che compongono il governo del Fronte Progressista Nazionale.

La coalizione degli “amici della Siria”, nonostante la  lunga serie di insuccessi e difficoltà,  continua ostinatamente ad andare avanti, premendo non tanto per una soluzione politica, quanto per l’opzione militare. Sono fallite le conferenze di Tunisi, Istanbul e l’ultimo incontro al Cairo. All’interno dell’opposizione siriana del Consiglio Nazionale Siriano e della Commissione di Coordinamento Nazionale  ci sono profonde divisioni derivanti da logiche di potere. Su queste spaccature un ruolo lo giocano anche i diversi referenti internazionali :Arabia Saudita, Qatar, Turchia e NATO , che provano a far prevalere la componente a loro più vicina. In questo senso va letta la spaccatura  nel CNS  tra l’attuale portavoce Burhan Ghalioun ed il pretendente a succedergli George Sabra; nessuno dei due infatti smette di invocare l’intervento militare internazionale ed il sostegno alle azioni dell’Esercito Siriano Libero. La differenza rilevante è che George Sabra è un cristiano laico dirigente del Partito del Popolo, ed è politicamente più spendibile all’esterno e all’interno della Siria, meno riconducibile ai Fratelli Musulmani. Niente di più. George  Sabra, mentre si definisce socialdemocratico,  dichiara inequivocabilmente la sua scelta:  “Quando la soluzione militare prende il centro della scena si presenterà poi il  bisogno di soluzioni politiche per accompagnarla. Le armi alla fine si ammutoliscono e saranno messe da parte mentre la politica continua”.

I comunisti siriani in questi giorni sono sottoposti alle minacce ed alle intimidazioni da parte delle milizie islamiche, al punto che molti compagni, ogni notte, sono costretti a dormire in case diverse per il rischio di attentati.  I segretari dei due Partiti Comunisti continuano a denunciare le ingerenze esterne che utilizzano la religione come strumento per prendere il potere  da parte di forze la cui leadership  politica è chiaramente ascrivibile ad una parte della borghesia islamica reazionaria. Al tempo stesso, i comunisti siriani  denunciano  le privatizzazioni, l’impoverimento dei salari, l’abbassamento del livello di vita e la proletarizzazione dei ceti medi, e chiamano alla mobilitazione e alla difesa dell’indipendenza nazionale.

Nel caso delle rivolte in Tunisia e in Egitto per l’intera comunità politica occidentale ed in particolar modo per la sinistra è stato più semplice comprendere lo scenario, un po’ meno capire le tendenze e le caratteristiche dei movimenti . L’involuzione delle primavere arabe ha spiazzato quanti troppo presto avevano parlato di rivoluzioni. Nonostante l’esito parziale, sono stati degli importanti segnali di risveglio e di protagonismo politico, hanno coinvolto le masse popolari di Egitto, Tunisia e Bahrein. Quest’ultimo anno ha visto l’affermazione dell’ Islam politico sunnita filo occidentale, che oggi governa  o si candida  a farlo in buona parte dei paesi che vanno dalla Turchia all’Africa mediterranea.

Quanti avevano guardato con simpatia ad Hamas o ai Fratelli Musulmani si sono dovuti ricredere:  queste forze,  come altre legate all’islam sunnita e wahabita, soggiacciono ad una visione  dell’ordinamento statale perfettamente compatibile e coerente con le esigenze degli imperialismi. Il percorso storico dell’islam politico sunnita  è legato a doppio filo alle case regnanti, saudite, hashemite e del Qatar. Le monarchie arabe hanno  sempre represso  in maniera spiccia e violenta i  movimenti di indipendenza , progressisti, laici e popolari, nei loro  paesi.  La monarchia  hashemita  giordana, grazie al sostegno dei fratelli musulmani, allora al governo, massacrò  oltre 70mila palestinesi nel  settembre del 1970.

Proprio in questi giorni, diversi gruppi riconducibili ad Al Qaida hanno ricominciato a minacciare con le armi ed il terrorismo i progressisti palestinesi  e libanesi nei  campi del Libano e nelle città di Tripoli e Sidone. Nella complessa situazione libanese più di una volta il  partito sunnita al-Mustaqbal (il Futuro) sostenuto dall’Arabia Saudita, ha utilizzato in funzione anti Hezbollah e contro la Siria formazioni come Fatah al Islam, Sir El-Dinniyeh,  Jund al-Sham, o Ousbat Al Ansar.  Sono queste formazioni  che stanno rifornendo di uomini e armi  l’Esercito Siriano Libero, ricavandone prestigio, peso politico e finanziamenti.

In Siria c’è  una scontro mortale che oppone l’ultimo paese  sede storica del pan-arabismo  al pan-islamismo sunnita legato alla “Umma”, la grande nazione islamica. Più in generale si combattono due prospettive politicamente divergenti:  quella del Fronte della Resistenza (Siria,Iran ed Hezbollah) da una parte e l’asse NATO,  GCC ed Israele dall’altra. Quest’ultima è un’alleanza che condivide, non senza divergenze, interessi economici legati allo sfruttamento ed al passaggio di gas ed idrocarburi, investimenti ed assetts finanziari scambievoli, ed è legata da un solido sistema di cooperazione militare. Un network che ha saputo utilizzare forze militari atipiche quali i combattenti islamici, come è accaduto nella recente guerra civile in Libia, in Afghanistan o nella guerra contro la Jugoslavia.

Proprio in Kosovo si è recato  l’attivista dei diritti umani  del CNS Ammar Abdulhamid  per  una visita che aveva lo scopo di apprendere dall’esperienza dell’UCK . Non si tratta di una casualità, piuttosto è una riprova del coinvolgimento della NATO, che in  Kosovo  è presente con  una base militare con oltre 6500 uomini.E’ in Kosovo o in altre basi NATO che si addestrano uomini come quello che ha dichiarato alla rivista  Der Spiegel  che la sua brigata ad Homs ha eliminato oltre 200 persone?

Quanti progressisti,  comunisti ,  quanti semplici cittadini siriani, quanti militari moriranno in questa guerra civile? Come dovrebbe relazionarsi il  governo rispetto ai gruppi paramilitari ed alle ingerenze esterne? 

Negli ultimi mesi in Siria c’è stata una violentissima campagna  di destabilizzazione, fatta di bombe ma soprattutto di omicidi mirati, che ha  spostato il confronto sul piano di una guerra asimmetrica, tra due campi ben distinti:  governo da una parte e  CNS dall’altra.

Bombe ed attentati ovviamente sono cosa ben diversa  dalle manifestazioni di protesta, nei confronti delle quali è necessario mantenere una relazione tutta politica e non di carattere militare: gravissima in questo senso la repressione manu militari della polizia siriana a Daraa.

Come per  l’aggressione alla Libia, anche per quanto riguarda la Siria le strutture della NATO stanno lavorando per sostenere l’abbattimento dell’attuale ordinamento statale siriano, tirando in ballo la difesa dei diritti umani. La delegazione del CNS e dell’Esercito Siriano Libero ha da poco terminato un giro di consultazioni presso le maggiori capitali europee. In Italia ha incontrato il Ministro degli Esteri Terzi che, nel sottile linguaggio diplomatico, ha ribadito che  l’Italia è tra i sostenitori  del boicottaggio e dell’intervento militare contro la Siria, e che per L’Unione Europea  l’interlocutore è il CNS e quindi l’Esercito Siriano Libero.

  Per le organizzazioni di classe in Italia ed in Europa l’impegno  è quello di denunciare come la  guerra alla Siria è di per sè un atto criminale, che nasconde l’esigenza dell’UE di partecipare alla spartizione dei benefici che verranno da questa ennesima aggressione militare. L’attacco alla Libia, la guerra civile in Siria e le minacce all’Iran sono le tappe più recenti di quella guerra infinita avviata da Bush con la guerra contro l’Iraq, una guerra per la supremazia del Grande Medio Oriente.

  Saranno i popoli dell’area del Mediterraneo, Europa compresa, a pagare i costi di questa guerra, dagli sviluppi imprevedibili.

* Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

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