Olga Salanueva, moglie di René González, uno dei cinque cubani antiterroristi prigionieri negli Stati Uniti, ha parlato dell’ingiustizia che vive da 14 anni, della lotta internazionale per la libertà degli eroi cubani che ogni giorno si fa più forte e ha confermato che “il muro di silenzio” che mediaticamente si è sollevato negli Stati Uniti impedisce che i cittadini nordamericani conoscano la verità sul caso dei Cinque.
(CAPAC) Olga Salanueva, moglie di René González – uno dei Cinque antiterroristi detenuti negli Stati Uniti-, è stata in visita in Argentina nel contesto della campagna internazionale che da dieci anni si porta avanti per reclamare la libertà degli eroi cubani. Sono già 14 anni che Gerardo Hernández Nordelo, Ramón Labadiño Salazar, Antonio Guerrero Rodríguez, Fernando González Llort e René González Sehweret sono detenuti ingiustamente nelle carceri nordamericane. A due di loro non è permesso ricevere la visita delle mogli, il Governo degli Stati Uniti ha sistematicamente negato loro i visti. Olga Salanueva, moglie di René González, e Adriana Pérez, moglie di Gerardo Hernández, lottano da 12 anni per vedere i loro mariti. Fin’ora si è imposta l’ingiustizia. Però queste donne non si arrendono perché sanno che un giorno la verità trionferà.
– Se lei dovesse raccontare, a qualcuno che non conosce il caso dei Cinque, chi è René, chi è suo marito, perché è detenuto, come lo spiegherebbe?
– E’ una lunga storia. Sono 14 anni. Ma più lunga è la storia del terrorismo contro Cuba. Data dall’inizio della nostra rivoluzione. In quel momento sono andati negli Stati Uniti i sostenitori di Batista, i criminali che hanno lasciato nel nostro popolo oltre 20 mila morti. Sono andati a riparare dove erano i loro alleati, nella città di Miami. Si sono portato là tutto il denari che hanno potuto, ma anche tutto l’odio. E lì, con l’aiuto del Governo degli Stati Uniti, hanno formato organizzazioni terroriste che hanno attaccato continuamente per tutti questi anni il nostro popolo, la nostra economia, tutto quello che indica sviluppo sociale e crescita della dignità del nostro popolo.
Il Governo degli Stati Uniti li ha appoggiati, addestrati, finanziati. È il loro padrino. E il Governo di Cuba ha cercato civilmente di lavorare con il paese vicino e con il suo Governo per smantellare queste organizzazioni e mandare in carcere gli assassini che con i loro atti terroristi hanno fatto 3 mila morti e oltre 2 mila feriti.
Siccome non hanno collaborato, il Governo di Cuba, il Popolo di Cuba, ha esercitato il suo diritto a difendersi, ed è per questo che cinque cubani, tra cui mio marito, sono andati negli Stati Uniti – a rischio delle proprie vite – per infiltrare quelle organizzazioni terroriste e cercare di ascoltare all’interno delle riunioni ristrette quali erano i piani sinistri che avevano.
– Qual’è stata la reazione del Governo nordamericano?
– Il Governo degli Stati Uniti li ha arrestati il 12 settembre del 1998, li ha messi in cella di rigore per 17 mesi, sono stati 2 anni in attesa di giudizio e quando questo si è fatto è stato infestato da violazioni legali, di violazioni a loro in quanto prigionieri, di violazioni ai diritti delle loro famiglie e infine sono stati dichiarati colpevoli e condannato a lunghe pene.
Abbiamo portato avanti un processo d’appello molto lungo e abbiamo potuto solo ottenere nuova sentenza solo per tre dei compagni, a due di loro è stato tolto l’ergastolo ma hanno dato loro 30 anni in un caso e 20 più 5 di libertà vigilata nell’altro, al terzo hanno tolto solo 15 mesi, mio marito ha dovuto subire tutta la sentenza e ci resta Gerardo con due ergastoli più 15 anni. Vale a dire che nelle Corti non si è mai fatta giustizia per i Cinque, per questo noi andiamo in giro per il mondo per portare a conoscenza di tutti che esistono terroristi negli Stati Uniti e che sono protetti dal Governo nordamericano e che, coloro che si sono azzardati a controllarli solo per inviare segnalazioni per salvare il nostro paese, sono stati portati in carcere.
– I passi nella giustizia nordamericana sembrano essere conclusi.
– Non abbiamo potuto toglierli dal carcere, ma abbiamo l’urgenza di farlo. Abbiamo già concluso il caso dal punto di vista legale e ci resta solo la pressione internazionale. Sappiamo che con l’appoggio di tutte le persone giuste, amanti della legge e della giustizia e che sono sicure che il terrorismo è un nemico di tutti, potremo un giorno ottenere la libertà dei Cinque.
– In tutto il mondo sono nati movimenti di solidarietà con I Cinque. Che ripercussione c’è stata negli stessi Stati Uniti?
– La solidarietà per la libertà dei Cinque è sorta inizialmente dai gruppi di appoggio alla Rivoluzione Cubana. Quando è diventato di pubblico dominio quello che stava succedendo ai compagni, immediatamente si sono andati formando comitati internazionali che si sono moltiplicati per tutto il mondo. In tutte le latitudini abbiamo Comitati di Liberazione per i Cinque, e attraverso la solidarietà abbiamo potuto arrivare a organizzazioni internazionali, di diritti umani, organizzazioni religiose, dei diritti delle famiglie, alle Nazioni Unite, ai Parlamenti, abbiamo avuto contatti con Premi Nobel, siamo andati in tutti gli angoli del mondo.
Negli Stati Uniti è stato più difficile, noi non abbiamo accesso lì. Ai familiari, quando si concedono loro i visti, si dice che non possono fare alcun tipo d’incontro, che non possono associare con nessuno per portare avanti questa battaglia. C’è un muro di silenzio mediatico che si è sollevato e che fa sì che alle persone che vivono lì sia difficile conoscere il caso. Nonostante ci siano veri Comitati di Solidarietà, c’è un Coordinamento Nazionale dei Comitati di Solidarietà con i Cinque, ci sono Comitati per la Libertà dei Cinque in California, a Miami e a New York, si sono anche organizzate giornate come quelle recenti dal 17 al 21 aprile in cui si è persino riusciti a parlare con dei deputati del Congresso. Si è fatta una marcia in cui sono stati distribuiti materiali sul tema. Tutto questo l’abbiamo ottenuto con molto sforzo, a volte portando l’informazione da persona a persona, altre volte con l’aiuto di molta più gente e vorremmo ringraziarli e continuare insieme rafforzando queste attività che sono l’unica cosa che potrà realmente tirarli fuori dal carcere.
– Come si prosegue questa lotta?
– Dobbiamo continuare la battaglia perché fino a quando non saranno a casa dobbiamo creare qualche alternativa in base alla quale Obama dia l’indulto, la commutazione della pena, li metta in libertà. Lui sa che sono innocenti. L’ha fatto sapere Amnesty International, il gruppo Detenzioni Arbitrarie, tutti i documenti degli Amici della Corte che si sono presentati davanti alla Corte Suprema. Ossia, Obama sa che tiene incarcerati cinque combattenti contro il terrorismo e che è ora che ritornino a casa.
traduzione a cura di Nuestra America
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