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Canada. Fine della pace sociale nel ricco Quebec

Ci sembra una descrizione molto interessante della vicenda canadese perché mette in rilievo un “disegno di classe” – l’aumento delle tasse universitarie serve soprattutto a bloccare la “mobilità sociale”, inchiodando le generazioni future alla posizione sociale dei genitori, alla faccia del “merito” e delle capacità individuali.

Un ragionamento che ci sembra molto molto più interno alla realtà globale di quanto non facciano i nipotini di Toni Negri in Italia, fermi alle chiacchiere sul “lavoro cognitivo”, ecc. La molla al fondo delle “riforme” è infatti da cercare nelle pieghe dei “rapporti di produzione”, ovvero tra le classi sociali corrispondenti, anziché nelle pieghe “tecniche” della divisione del lavoro. Che hanno naturalmente una loro importanza, ma di secondo o terzo livello. La chiave, per così dire, è nella reazione della borghesia multinazionale alla crisi: una “chiusura” su base censitaria per difendere al massimo la “propria” riproduzione come classe.

 

Quebec, la primavera degli studenti in trincea

Pascale Dufour
La legge 78 vuole stroncare il diritto d’espressione e mettere fine alle proteste. Ma le ha solo esacerbate.
«Raramente si è vista un’aggressione così evidente ai diritti fondamentali che da decenni sono alla base dell’azione sociale e politica in Quebec». Sono le parole con cui un importante gruppo di storici ha denunciato la legge 78 adottata dal Parlamento del Quebec il 18 maggio. Si tratta del cocktail legislativo più repressivo vissuto dalla provincia dal 1970, quando alcuni membri del Fronte di liberazione del Quebec rapirono un diplomatico britannico e il ministro del lavoro, Pierre Laporte.
L’obiettivo dei deputati? Mettere fine al conflitto studentesco che lacera il Quebec dal 13 febbraio restringendo il diritto di manifestare, la libertà di espressione e quella di associazione. Alla vigilia del voto, quasi il 40% degli studenti degli istituti universitari era sempre in sciopero, e la polizia antisommossa aveva esaurito gli (abbondanti) stock di gas lacrimogeno del suo fornitore.
Scopo del movimento? Possibilità di accedere agli studi superiori e la decisione del governo liberale di Jean Charest di aumentare le tasse di iscrizione all’università. Con 2.168 dollari canadesi l’anno (1.700 euro) – cioè meno della metà della media nazionale -, le università del Quebec sono tra le meno costose del paese, molto lontane da alcune province anglofone, come l’Ontario o la Colombia britannica, dove il costo supera mediamente i 6.500 dollari (5.000 euro) nel primo ciclo.
Una posizione privilegiata dovuta alle scelte politiche fatte durante la «rivoluzione tranquilla», quando il governo provinciale si adoperava a formare un’elite francofona e a consentire una relativa democratizzazione degli studi superiori. Di conseguenza, le tasse scolastiche erano state bloccate a un livello relativamente basso, erano stati creati i collegi per l’insegnamento generale e professionale per garantire una formazione post-secondaria/pre-universitaria, ed era stata creata una rete di istituti superiori su scala provinciale. Il successo è vistoso: nel 1971, il 66% dei giovani tra i 15e i 24 anni era scolarizzato a tempo pieno; oggi si arriva a più dell’80%. Ancor più significativo, il 45% degli studenti del Québec è definito di «prima generazione» – provengono da famiglie in cui nessuno prima di loro ha frequentato l’università -, la percentuale più alta del Canada. Nel 2006, circa il 40% proveniva da famiglie con reddito inferiore ai 50.000 dollari l’anno, e un quinto era cresciuto in una regione rurale. L’aumento delle tasse scolastiche deciso da Charest minaccia queste conquiste (…).
Nel 2007, poco prima della campagna elettorale, il governo Charest annunciava un primo aumento di 500 dollari in cinque anni, portando il costo al suo attuale livello. Poi il primo ministro decide di procedere a un nuovo aumento, le cui modalità vengono discusse in un «incontro tra partner nella scuola», nel dicembre 2010. (…) Tre mesi più tardi, il 17 marzo 2011, il governo del Quebec svela il frutto delle sue meditazioni: un aumento del 75% in cinque anni. Alla fine, la richiesta per un anno di studi arrivava così a 3.793 dollari, senza contare il probabile aumento delle spese aggiuntive.
Obiettivo dichiarato: riportare il livello delle spese scolastiche, dopo indicizzazione, al 1968. Una parte dell’aumento deve essere assegnato al programma pubblico di prestiti e borse di studio. Un quarto degli studenti universitari iscritti a tempo pieno vedrebbero l’aumento compensato da prestiti e borse di studio; un ottavo sarebbe costretto ad aumentare il proprio debito, e il resto, cioè circa il 60%, assorbirebbe l’aumento con i loro propri mezzi. La decisione, che avrebbe dovuto entrare in vigore nel settembre 2012, ha scatenato un movimento di contestazione che non si può non definire storico. Fin dall’autunno 2011, si comincia a parlare di uno sciopero in primavera. Il 15 maggio 2012, 156mila studenti (su un totale di circa 400mila, includendo gli istituti anglofoni, sottoposti anch’essi allo stesso regime) iniziavano la loro quattordicesima settimana di sciopero (con un picco di duecentoventicinquemila il 22 marzo).
Secondo la polizia di Montreal, centosettanta manifestazioni si sarebbero svolte nella città dall’inizio del conflitto: una cosa mai vista. (…) Ci vorranno comunque due mesi di sciopero perché il governo accetti d’incontrare le associazioni studentesche e dibattere del finanziamento delle università, pur precisando la propria indisponibilità a negoziare sulla questione delle spese. Le discussioni si interrompono già il secondo giorno. Il movimento s’inasprisce: a partire dal 25 aprile, ogni sera, da cinque a diecimila persone manifestano per le strade di Montreal. Il 27 aprile, il governo propone un allargamento delle condizioni di accesso ai prestiti e borse pubbliche, così come un nuovo scaglionamento dell’aumento degli spese: 254 dollari l’anno su sette anni piuttosto che 325 dollari l’anno su cinque anni…cioè un totale di 1.778 dollari, invece dei 1.625 dollari inizialmente previsti!
Un’immensa collera si impadronisce degli scioperanti, che denunciano «il disprezzo, l’arroganza e la condiscendenza» del governo. Manifestanti e forze dell’ordine si scontrano, in particolare il 4 maggio. Quel giorno, il primo ministro decide di convocare un incontro con tutti i partner coinvolti, incluse le centrali sindacali e i rettori. Alla fine di venti ore di negoziato, viene firmato un accordo, che riguarda essenzialmente la possibilità di ridurre le spese aggiuntive (e non le tasse scolastiche).
L’accordo è rifiutato in modo massiccio dalle associazioni studentesche la settimana successiva. La crisi sembra senza sbocco, e ci sono seri dubbi sulle possibilità di recupero dei corsi mancati prima della riapertura autunnale. (…) Diverse ipotesi circolano sul senso dell’azione governativa. Per alcuni, la scelta della fermezza – se non della testardaggine – si spiegherebbe con il fatto che il conflitto mobilita essenzialmente giovani, cioè una popolazione il cui tasso di partecipazione alle elezioni è molto debole (attorno al 30%) e che non costituisce la clientela privilegiata del partito al potere.
Altri sostengono che questa strategia potrebbe permettere al primo ministro di fare scattare le elezioni in un contesto di crisi, e prima che altri contenziosi lo raggiungano in autunno, in particolare con la commissione d’inchiesta sull’industria delle costruzione, che potrebbe mettere in discussione l’onestà di alcuni ministri liberali. I più critici sottolineano infine l’incompetenza del potere nella gestione dei conflitti nel corso degli ultimi anni, per esempio nel campo dell’ambiente: messo di fronte a forti mobilitazioni, ha dovuto ritornare su alcune decisioni, come la privatizzazione di un parco nazionale o la costruzione di una centrale termica a gas. (…)
La posta in gioco di questa lotta va al di là del solo aumento delle spese. Benché la crisi economica del 2008 non abbia toccato il Quebec nelle stesse proporzioni del suo vicino americano, il suo modello sociale viene progressivamente rimesso in discussione, nei discorsi come nei fatti. Sempre più servizi pubblici sono diventati a pagamento, in particolare nel settore sanitario; le tariffe dell’elettricità sono state riviste al rialzo; la logica della competizione e della concorrenza è stata introdotta nella gestione degli istituti pubblici.
Questo spiega l’unirsi di altri soggetti alla causa studentesca: le centrali sindacali, ma anche e soprattutto coalizioni temporanee create per l’occasione, come i «Genitori contro l’aumento» e i «Professori contro l’aumento», particolarmente attive. (…).
Comunque vada a finire, la lotta studentesca della primavera 2012 è un vettore di politicizzazione per tutta una generazione, ma anche di polarizzazione all’interno di una società molto divisa come è quella del Québec. Dall’inizio del movimento, i sondaggi mostrano che circa la metà delle persone interrogate sosterrebbe la misura governativa, mentre l’altra metà la rifiuterebbe.
All’interno dei partiti di opposizione, il Partito del Québec (socialdemocratico e sovranista) denuncia l’aumento e ha promesso di annullarlo se vince le prossime elezioni; il partito di sinistra del Quebec solidale milita per la gratuità scolastica; e la Coalizione avvenire del Quebec (Caq), un nuovo partito di destra, sostiene la decisione governativa.
Anche all’interno della popolazione studentesca, il conflitto ha rivelato fratture. Si è creato un gruppo che si oppone allo sciopero e sostiene l’aumento: il Movimento degli studenti socialmente responsabili. (…) Con il voto della legge 78, il governo sembra avere deciso: la legittimità collettiva di un movimento di sciopero non sarà più autorizzata a pesare di fronte al «diritto individuale» dei consumatori di studi.
 
*Professore al dipartimento di scienze politiche dell’università di Montrea l (Canada). Questo articolo è una parte di un pezzo più lungo che uscirà su Le Monde diplomatique/ilmanifesto, in edicola dal 14 giugno.

Da Il Manifesto (Traduzione di Graziana Panaccione)

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