Entrambi sopravanzano i due volti della possibile novità politica Hamdin Sabbahi, il socialista, che fa il pieno di consensi nella capitale raggiungendo 4,7 milioni complessivi e il Fratello espulso Abol Fotouh, (3,9 milioni) su cui la vigilia preannunciava un exploit che non c’è stato perché ha prevalso la logica di fazione. Fra i candidati famosi solo Moussa (2 milioni di preferenze) è parso immediatamente fuori dalla competizione. Ha votato il 50% dei cinquanta milioni di cittadini iscritti e solo domenica sera la Commissione Elettorale Suprema emanerà i dati definitivi dello spoglio. Finora non ci sono state proteste per irregolarità o brogli, sebbene gli osservatori internazionali fossero in numero limitato per verificare l’andamento normale in tutti i seggi. Ma la contrapposizioni fra i candidati e i loro gruppi di sostegno ha di per sé creato un controllo trasversale delle operazioni di voto che hanno coinvolto gli egiziani soprattutto nei centri maggiori.
Tranciante il portavoce del Partito degli Egiziani liberi, Ahmed Khairy, che nel commentare i risultati afferma come ormai si stiano confrontando due progetti reazionari “uno islamo-fascista e l’altro militar-fascista”. Anche non volendo essere così pessimisti la realtà chiara da mesi è che lo spirito ribelle di Tahrir è minoritario e coinvolge soprattutto fasce giovanili, l’opposizione progressista è divisa (alle presidenziali presentava quattro candidati) e resta estranea al sentire dell’egiziano medio. Costui è alla ricerca di certezze, quella prettamente securitaria fatta di ordine ed esercito è incarnata da chi come Shafiq non solo ha vestito la divisa ma l’ha messa a disposizione di un Mubarak già ampiamente contestato dalla popolazione a rivolta scoppiata, dunque in piena sintonìa con la repressione che mieteva 850 vittime. Mursi, il grigio funzionario della Fratellanza, nei giorni successivi al 25 gennaio 2011 frenava la piazza, invitava i giovani della Confraternita a tenersene lontani, solo a Mubarak caduto il Gotha della Brotherhood ha accettato di manifestare parlando di martiri della Rivoluzione. La Rivoluzione è lo spettro che s’è aggirato per le vie del Cairo, Suez, Alessandria sollevando le speranze giovanili e degli strati più umili ma non ha trovato una guida organizzata. Troppo movimentiste le strutture come il “6 aprile” e simili.
Soprattutto ha trovato davanti a sé la potente e radicata lobby militare che ha agito su più fronti. Reprimendo e intimidendo nelle strade e nelle carceri (con le stesse torture attuate col raìs) e sul piano istituzionale dove, tramite la giunta Tantawi, ha praticato colpi di mano come lo scioglimento forzoso dell’Assemblea Costituente, l’adozione di una Costituzione ad interim che preserva il ruolo delle Forze Armate indicando questa via anche nella Costituzione definitiva che dovrà essere approvata e potrebbe limitare lo stesso potere presidenziale. Comunque i militari possono permettersi questo perché una consistente fetta della società si rifugia sotto i suoi fucili, temendo la deriva islamista il cui spettro viene agitato da coloro che abbiamo definito i “mubarakiani”. Sono i nostalgici filo occidentali che si muovono per interessi personali e di rango: partecipano alla filiera economica gestita dai generali, oppure di professione: sono grandi commercianti legati al business internazionale o minuti interessati alla loro bottega che può prosperare solo senza sommosse e se il grande giro turistico torna a riempire il Paese. Intento perseguito anche da Mursi e Fratelli che per difendere i successi dell’urna fin qui conseguiti che potrebbe venir coronato anche dalla presidenza devono dare risposte socialmente tranquillizzanti. Come spesso accade nei ballottaggi a decidere in quale tradizione vorrà porsi l’Egitto saranno i sostenitori degli innovatori fin qui sconfitti. Fotouh, dimenticando gli ostracismi subìti, orienta i fan sul Fratello islamico, Sabbahi dovrà scegliere se rispondere al credo socialista e antirepressivo o al richiamo del nasserismo presente nei suoi ideali.
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