Quando Evo Morales arriva lunedì sera a Roma al Centro Congressi, accolto dagli applausi, la sala delle Carte geografiche è ormai stracolma, al pari dello spazio sottostante, in cui ha trovato posto chi è arrivato dopo: in tutto quasi 500 persone, venute ad assistere all’incontro tra il presidente della Bolivia, i movimenti sociali, alcune rappresentanze della sinistra e le ambasciate dei paesi dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America. «El pueblo, unido, jamas sera vencido», scandisce la platea, in piedi. Il presidente entra subito in sintonia, con un discorso diretto e informale che parla di sovranità, indipendenza e giustizia sociale. Non è la prima volta che Morales va a trovare i movimenti romani, già nel 2007 si era recato prima all’Università La Sapienza, poi nelle case occupate di Via De Lollis. Ora torna a riassumere i passaggi, le difficoltà e i risultati che hanno portato al governo «500 anni di resistenza indigena».
In mattinata, Morales era stato alla Fao, per ricevere la nomina di ambasciatore speciale dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’agricoltura e l’alimentazione. Motivo del riconoscimento, la quinoa, una pianta simile agli spinaci fornita di piccoli semi molto nutrienti, di antica ascendenza precolombiana: «il super-alimento» dell’America andina, dove occupa il secondo posto dopo la patata. Fondamentale – ha detto il direttore generale Fao, il brasiliano José Graziano da Silva – nella lotta per la sovranità alimentare e contro la povertà. Tanto che, per le Nazioni unite, il 2013 sarà l’anno internazionale della quinoa.
Nel tardo pomeriggio, prima di partire per l’Olanda, dove andrà a promuovere la quinoa alla Fiera di orticoltura, Morales ha parlato di sovranità anche alla platea dei movimenti. Ha descritto i termini di una scommessa per l’alternativa osteggiata dai poteri forti, e ancora in corso. Un progetto che poggia su due assi portanti, «l’Assemblea costituente, che ha rifondato lo stato plurinazionale di Bolivia, e le nazionalizzazioni». Un percorso di «liberazione sociale e politica» in cui l’impegno della sua squadra di governo continua a essere quello «di servire il popolo», «costruire l’indipendenza economica tassando le multinazionali» e ripartire le risorse. Una scelta vincente, stando alle cifre che registrano lo sviluppo crescente del paese andino, «non solo in termini di Prodotto interno lordo, ma di buen vivir», di qualità della vita per i lavoratori, il cui salario è stato aumentato del 22%, e in termini di beni e servizi, sottratti alle privatizzazioni.
Un discorso inverso a quel che vorrebbero imporre i poteri forti in Europa «in nome della compatibilità del capitale e della legge del profitto», ha detto in apertura l’economista Luciano Vasapollo, evidenziando i nodi comuni «di una conflittualità sociale antisistemica». Le scelte dei paesi dell’Alba (l’Alleanza messa in moto da Cuba e Venezuela), mostrano invece progetti economici basati sullo scambio solidale, aprono nuovi scenari, indicano «un capovolgimento di prospettiva» nei rapporti di potere tra Nord e Sud del mondo.
«Siamo passati dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa contrastando brogli e colpi di stato, e sfidando un razzismo continuo che definisce me il macaco piccolo e Chávez quello più grande», ha affermato Morales concedendosi qualche battuta: «In America latina – ha detto – oggi siamo 3 a 1 con gli Stati uniti: abbiamo sconfitto un tentativo di golpe in Venezuela, uno in Bolivia, ma non siamo riusciti a evitare quello in Honduras». E ancora: «Sapete perché negli Usa non ci sono colpi di stato? Perché non ci sono ambasciatori nordamericani».
Infine, ha polemizzato con «quei paesi capitalisti che usano il tema ambientale in maniera neocoloniale». Gruppi di persone «che vivono bene – ha aggiunto Morales – pretendono di negare ai nostri fratelli la luce elettrica mentre noi cerchiamo di trovare un equilibrio tra ambiente e sviluppo». Il riferimento era evidentemente rivolto all’intransigenza di certe componenti ambientaliste che si oppongono ad alcuni progetti governativi come quello della superstrada che taglierebbe parte della foresta amazzonica boliviana. «D’ora in poi indiremo referendum su tutte le questioni controverse», ha ripetuto il presidente aymara. Poco prima aveva fatto solo un accenno al conflitto scatenato dall’influente Federazione nazionale delle cooperative minerarie, che si oppone alle nazionalizzazioni decise dal governo nella regione di Colquiri: un comune del dipartimento andino di La Paz, in cui una sussidiaria dell’azienda svizzera Glencore gestisce giacimenti di zinco e stagno e impiega circa 400 persone.
da “il manifesto”
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