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Wikileaks. Assange si rifugia dell’ambasciata dell’Ecuador

L’obiettivo della mossa di Assange è di evitare l’estradizione in Svezia, dove deve affrontare un doppio processo per stupro, dopo il via libera, ormai dato per scontato, della giustizia britannica. La Corte Suprema inglese, dopo aver respinto in appello il suo ricorso il 14 giugno, aveva accordato 14 giorni prima di rendere operativa l’estradizione, anche per dargli la possibilità di presentare appello davanti alla Corte Europea per i Diritti Umani.

Uno dei timori di Assange, arrestato in Gran Bretagna su mandato di cattura internazionale nel dicembre 2010, oltre ad una condanna in Svezia, era di finire negli Stati Uniti, dove potrebbe celebrarsi un giorno un durissimo processo contro di lui, con pesanti accuse che potrebbero addirittura costargli lunghissimi anni di carcere, se non addirittura la pena di morte (il suo sito ha pubblicato centinaia di migliaia di documenti considerati “segreti di stato” dagli Usa).
La notizia della richiesta di asilo, con tanto di ingresso nella sede diplomatica di Londra, sulla centralissima Knightbridge, è venuta da Quito, attraverso uno scarno comunicato del ministero degli Esteri ecuadoregno, che ha immediatamente informato il Foreign Office.

Assange sostiene di «essere stato abbandonato dalle autorità del mio Paese, l’Australia», aprendo la porta ad una sua possibile ed eventuale estradizione negli Stati Uniti, «un Paese che applica la pena di morte per il reato di spionaggio e di tradimento». Assange non si fida neppure delle autorità svedesi, dove «i più alti dirigenti mi hanno apertamente attaccato e hanno avviato un’indagine per delitti politici negli Stati Uniti d’America, un Paese in cui vige ancora la pena di morte per reati di questo tipo».

L’Ecuador «sta valutando la richiesta» e qualsiasi decisione «verrà presa tenendo conto del rispetto delle regole e i principi della legge internazionale», oltre che della «politica tradizionale dell’Ecuador di proteggere i diritti umani».

Alla fine del 2010, Wikileaks aveva inziato la pubblicazione di decine di migliaia di documenti diplomatici riservati, molti dei quali imbarazzanti per diversi paesi (ormai famosi i giudizi degli amabsciatori statunitensi a Roma su Berlusconi e il suo entourage), la stragrande maggioranza dei quali statunitensi.
Sarebbero stati consegnati a Wikileaks da un militare, Bradley Manning, attualmente detenuto negli Usa, dove rischia la pena di morte.

L’allora vice ministro degli Esteri di Quito, Kintto Lucas, aveva non soltanto invitato Assange a parlare in Ecuador, ma gli aveva anche offerto la residenza. Molto più recentemente, il 22 maggio, Assange ha intervistato Rafael Correa, il presidente ecuadoregno, per la tv russa RussiaToday con la quale il fondatore di Wikileaks ha iniziato a lavorare.

L’Ecuador – uno dei paesi dell’alleanza Alba, che sta costruendo un “mercato comune” latinoamericano completamente indipendente dai condizionamenti Usa – ha subito un tentativo di colpo di Stato nel settembre 2010 e Correa era stato addirittura preso in ostaggio. Secondo molti osservatori latinoamericani, dietro al tentato golpe c’era la Cia, che avrebbe usato anche alcuni media «corrotti».

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