Secondo i primi dati resi noti dal ministero degli Interni di Reykjavík sullo spoglio delle schede votate ieri – le urne si sono chiuse a mezzanotte – gli islandesi lo avrebbero riconfermato a larga maggioranza. Il presidente uscente Grimsson avrebbe infatti ottenuto tra il 51% e il 52% dei consensi mentre la sua sfidante, la nota giornalista televisiva Thora Arnorsdottir (37 anni) non avrebbe superato il 33% dei voti.
Grimsson, 69 anni e fiero oppositore dell’integrazione del paese nell’Unione Europea, ha conquistato di nuovo i consensi degli elettori islandesi memori del suo coraggioso rifiuto del 2008, quando sull’onda degli appelli che venivano dalle piazze islandesi pose il veto ad una legge varata dall’allora governo di centrosinistra che imponeva al paese enormi sacrifici per ripianare 5 miliardi di euro di debiti nei confronti delle banche e delle assicurazioni britanniche e olandesi ampiamente esposte con gli istituti di credito locali. Un ‘no’ che allora moltissimi in Europa ritennero azzardato e avventuristico, se non una bestemmia, ma che evitò agli islandesi di fare la fine della Grecia o dell’Irlanda. Il suo gesto fu sostenuto da un’ondata di simpatia e mobilitazione popolare e poi confermato in due successivi referendum. Il veto scatenò la rabbia di Gran Bretagna e Olanda che minacciarono ritorsioni e isolamento. L’Efta, l’Associazione di libero scambio europea di cui fa parte l’Islanda, ha addirittura trascinato il governo di Reykjavik in tribunale. Ma alla fine Reykjavík l’ha scampata e dopo il crack delle tre principali banche nel 2008 e l’ondata di svalutazione che in poche settimane si è mangiata il 60% del valore della corona ora il paese è tornato a crescere senza dover sacrificare uno stato sociale e una qualità della vita ai quali i cittadini non hanno voluto rinunciare. La decisione di Grimsson di rimborsare solo i cittadini islandesi coinvolti nel crack del sistema bancario nazionale e di lasciare a mani vuote gli investitori stranieri è così apprezzata dagli islandesi che quando il presidente uscente decise alcuni mesi fa di non ripresentarsi alle elezioni, una petizione che gli chiedeva di riprovarci fu firmata da 30mila cittadini, cioè dal 10% dei cittadini del paese.
Thora, una giovane giornalista madre di sei figli (tre dei quali adottati), è un’outsider di simpatie socialdemocratiche per legami familiari (suo nonno, Hannibal Valdimarsson, è stato segretario del Partito socialdemocratico e più volte ministro). La giovane neomamma – che ha dovuto interrompere la campagna elettorale per dare alla luce il terzo figlio – ha fatto una campagna elettorale nel nome della ‘discontinuità’ e dei diritti delle donne in un paese dove le donne occupano comunque già posti chiave nel governo, nelle imprese e nel mondo della cultura: il primo ministro è la socialdemocratica Johanna Sigurdardottir, gay dichiarata, e la Chiesa islandese è guidata da un vescovo donna. All’inizio la sua immagine ha prevalso, ma poi gli argomenti e la storia di Grimsson hanno avuto la meglio. Anche perché la sua sfidante sembrava incline a un’adesione dell’isola ad una Unione Europea che da quelle parti non è vista con particolare simpatia. Il governo di centrosinistra – insediatosi nel gennaio del 2009 dopo che il precedente premier di centrodestra Geir Haarde fu costretto a dimettersi da vaste e determinate manifestazioni popolari – nel febbraio dello stesso anno ha presentato domanda di adesione all’Ue. L’elezione di Grimsson potrebbe rappresentare un elemento di freno all’ingresso di Reykjavík nell’Unione. Un segnale importante anche se risultato di una elezione alla quale sono stati chiamati neanche 240 mila aventi diritto.
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