I venti di guerra spirano sempre più forti sulla Siria, e l’ennesima spaccatura all’interno della opposizione ad Assad allontana paradossalmente una uscita negoziata dalla crisi che investe il paese arabo da ormai più di un anno e che ha già prodotto migliaia di vittime.
Le notizie rese note nei giorni scorsi sulla mobilitazione dell’esercito di Ankara in vista di una invasione del territorio siriano diventano sempre più preoccupanti. E’ ormai ufficiale che Ankara, utilizzando l’episodio del caccia turco abbattuto dalla contraerea siriana dieci giorni fa, ha ammassato truppe e carri armati al confine con Damasco, in particolare nella zona di Antiochia, città abitata da popolazioni di origine siriana diventata base di addestramento e retroterra delle milizie inviate poi a combattere contro l’esercito di Assad. Inoltre secondo fonti dei servizi segreti di vari paesi il leader turco Erdogan avrebbe chiesto esplicitamente ad Obama di poter “attaccare militarmente la Siria di Assad così come già avvenuto per la Libia di Gheddafi” proprio dopo l’abbattimento del jet di Ankara. “E’ il pretesto che aspettavamo” avrebbe detto il leader turco ad Obama secondo il giornalista del Sole 24 Alberto Negri. Proprio in quelle ore l’esercito turco schierava al confine batterie di missili, centosettanta carri armati e migliaia di truppe, pronte ad entrare in territorio siriano e a realizzare quel ‘corridoio’ che Erdogan vorrebbe spacciare come misura umanitaria a sostegno dei profughi in fuga dalla repressione del regime. Erdogan ha anche annunciato di aver cambiato le regole di ingaggio dell’esercito turco per permettergli di aprire il fuoco su uomini e mezzi siriani che ‘rappresentino una minaccia imminente’.
Un segnale esplicito nei confronti di Assad ma anche ai curdi siriani che infatti si stanno organizzando nel tentativo di rispondere militarmente ad una invasione militare turca.
La popolazione curda infatti vive proprio nei territori a ridosso della frontiera e sarebbe investita in pieno da una penetrazione militare turca in Siria e dagli eventuali combattimenti. Negli ultimi mesi la maggior parte delle forze politiche e militari dei curdi siriani hanno stretto quindi accordi con il governo di Damasco in vista di una resistenza militare contro l’esercito turco, in accordo anche con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che rappresenta la maggioranza dei curdi di Turchia. Anche in virtù agli accordi con Assad le milizie del Partito dell’Unione Democratica (Pyd) stanno riempiendo il vuoto di potere creato dalla disgregazione in alcune regioni del potere statale. In alcune province il Pyd ha distribuito le armi alla popolazione e sta addestrando migliaia di combattenti a utilizzarle (con l’aiuto degli istruttori del Pkk arrivati dalle montagne dell’Iraq), realizzando nel frattempo i cosiddetti ‘comitati popolari di difesa’ sia nelle città che nelle campagne e istituendo posti di blocco e di controllo sulle strade.
Secondo alcune testimonianze anche le comunità alawite della Siria si stanno attrezzando a rispondere militarmente ad una invasione turca al di là e al di fuori di quanto potrà fare l’esercito di Damasco. Gli alawiti rappresentano la principale base di sostegno del regime di Assad e non possono perdonare ad Ankara l’appoggio alle milizie sunnite che stanno seminando il terrore in territorio siriano. Anche i cristiani, molti dei quali discendenti degli armeni scampati al genocidio turco dell’inizio del XX secolo, non vedono di buon occhio un intervento diretto di Ankara.
L’Esercito Libero Siriano, il braccio armato del Consiglio Nazionale, ha cercato finora senza esito di infiltrare proprie unità nei territori curdi della Siria, con l’obiettivo di sostenere dall’interno l’invasione turca. A nulla finora sono valsi gli appelli ai ‘fratelli curdi’ affinché si uniscano all’ELS e le promesse che il futuro governo di Damasco “porrà fine alle ingiustizie sofferte finora”. I curdi accusano l’opposizione siriana di essere il braccio armato di Ankara e ricordano quando, nel 2004, i Fratelli Musulmani siriani rimasero a guardare mentre l’esercito di Assad reprimeva le manifestazioni convocata dall’opposizione curda.
La Turchia continua ad affermare che non mira ad un intervento militare diretto in suolo siriano ma nei fatti è evidente che sta preparando la creazione della cosiddetta ‘zona cuscinetto’ al confine e chiede insistentemente alla Nato la costituzione sulla Siria di una ‘no fly zone’ che di fatto rappresenterebbe il prologo alla guerra.
Gli analisti internazionali per ora sono scettici riguardo ad un conflitto vero e proprio tra i due paesi. “C’e’ un rischio basso di intervento unilaterale – sostiene Sinan Ulgen, che dirige il think tank di Istanbul ‘Economic and Foregn Policy Studies’ – c’é piuttosto il rischio di schermaglie transfrontaliere o di singoli incidenti”. Da molti sondaggi emerge che, benché la popolazione turca sia favorevole a un cambio di regime nel paese vicino, pochi accoglierebbero con favore un attacco militare turco. E a preoccupare politici e comandi militari è la possibile reazione dei guerriglieri del Pkk e della vasta rete di militanti curdi che operano nelle città turche.
Ma le schermaglie militari sono già iniziate: sabato infatti Ankara ha mandato i suoi caccia da combattimento F16 a sorvolare il confine per intimidire alcuni elicotteri militari di Damasco. Anche domenica gli F16 decollati dalla base di Incirlik si sarebbero confrontati con velivoli militari siriani. Oggi invece due razzi sparati dal territorio libanese hanno colpito una postazione siriana ferendo due poliziotti.
Intanto, in Egitto si registra l’ennesima spaccatura dell’opposizione siriana. “Siate uniti, non sprecate questa opportunità” era stato l’appello indirizzato all’apertura dei lavori dal segretario della Lega Araba, Nabil al-Arabi, ai 250 rappresentanti dei gruppi in esilio. Ma le divisioni sono emerse immediatamente, visto che i rappresentanti delle milizie del CNS hanno disertato il vertice, definendolo addirittura “un complotto” al fine di attuare “il programma russo-iraniano” sulla Siria. I ribelli si sono schierati in particolare contro i risultati della conferenza che si é tenuta sabato a Ginevra, sotto gli auspici di Kofi Annan. A detta dei rappresentanti del CNS il compromesso di Ginevra “mira a salvaguardare il regime” in quanto chiedono che per porre fine alla guerra si vari a Damasco un governo di unità nazionale con la presenza delle forze di opposizione ma anche dei partiti che sostengono Assad. Ma le divisioni non riguardano solo coloro che operano dall’esterno e coloro che invece operano sul terreno. Esercito Siriano Libero e Consiglio Nazionale Siriano si accusano a vicenda di voler prendere il controllo della ribellione e non riescono ad accordarsi su un comando congiunto. I gruppi di opposizione locali, invece, accusano entrambe le forze di sostenere le ingerenze straniere, in particolare quelle della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar.
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hangaw
Si dimentica che alcuni giorni fa l’opposizione al regime di Assad ha escluso i curdi, perche chiedevano i loro diritti come etnia.