Cosa si siano detti non è dato sapere. Probabili parole di circostanza, magari anche affabili, perciò in contrasto col braccio di ferro delle ordinanze che caratterizza da settimane la vita politica egiziana. Domenica scorsa Mursi ha presentato un decreto che confligge con quello emanato dai generali alla vigilia del ballottaggio presidenziale che scioglieva l’Assemblea del Popolo, un ramo del Parlamento del Paese. Il decreto sostiene come, in base all’articolo 33 della Dichiarazione Costituzionale del marzo 2011, l’Assemblea del Popolo deve continuare a esercitare il suo potere. Tutt’al più si può riandare a una ripetizione delle elezioni politiche entro 60 giorni dalla data di approvazione della nuova Costituzione, irraggiungibile “Araba Fenice” della nazione. Tutto pubblicato l’8 luglio scorso sulla Gazzetta Ufficiale. Ma la Suprema Corte Costituzionale il giorno seguente ha ripetuto che la decisione di sciogliere il Parlamento è definitiva e non rivedibile. Gli stessi uomini del Consiglio Supremo delle Forze Armate che incontrano Mursi nelle cerimonie ufficiali fanno giungere allo staff presidenziale il velato avvertimento di non contrastare le decisioni di un organo istituzionale superiore.
Anche il Presidente e il Parlamento sono figure istituzionali eppure hanno subìto rispettivamente limitazione di potere e scioglimento da parte del Csfa. Quello che figure politiche e giuridiche secolari e lontane dalla Fratellanza Musulmana hanno definito un golpe bianco. L’impasse è palese e rischia di bloccare una fase delicatissima che deve prevedere la scrittura della Carta Costituzionale e la formazione di un’ampia coalizione di governo. Il desiderio di opporsi all’autoreferenziale tutela militare è ampio anche fra i gruppi laici, sebbene ci sia chi, come il deputato liberale Imad Gad, intervistato si chiede se sia lecito tornare a riunirsi contro una decisione di un supremo organo di legge. Ne va della credibilità della vita istituzionale. Tuttora la sede del Parlamento, chiusa da circa un mese, continua a essere presidiata dalla polizia, ma i supporter della Fratellanza continuano a stazionare numerosi nei paraggi attuando una sfida a distanza con le forze di sicurezza. Nel pacchetto di norme introdotto a metà giugno dal Csfa con la denominazione di “Dichiarazione Costituzionale” c’è anche un controllo assoluto della piazza. Chi scende in strada senza l’autorizzazione delle forze dell’ordine rischia l’arresto per attentato alla sicurezza nazionale, tema su cui il Capo dello Stato ha perso il comando assoluto e si trova ora a condividerlo, neanche a dirlo, coi militari.
Tutte le manifestazioni, spontanee e organizzate, dell’ultimo mese sono state tollerate però, nello snervante confronto di potere fra chi decide e cosa, spinte centrifughe possono sempre far degenerare la situazione. E’ probabile che il lavoro di mediazione della diplomazia statunitense che ha “accompagnato” il neo Presidente Mursi ad aprire la serie delle visite all’estero incontrando il maggior alleato di Washington nella regione, il re Abdallah, cerchi di trovare modi di convivenza fra i due poteri forti dell’attuale Egitto, evitando qualsiasi nuovo strappo. Obama pienamente impegnato nella personale corsa elettorale di novembre, punta su tematiche sociali in patria e sul rilancio della leadership statunitense nel mondo. Nel sempre più problematizzato Medioriente un avvicinamento del Cairo al sovrano saudita gli fa doppiamente comodo per questioni di schieramenti internazionali, in funzione anti russa e anti iraniana, e di cassa. Infatti la monarchia di Riyad elargirebbe una congrua fetta degli aiuti economici all’Egitto se l’establishment, pur islamizzato, si mostrasse aperto e collaborativo. Decreti o meno un passo atteso e necessario riguarda la formazione dell’Esecutivo attorno a un premier carismatico. Ma per quest’operazione potrebbe non bastare l’intera estate.
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