Nel corso degli ultimi dieci anni, i loro nemici e rivali – da Saddam Hussein agli Assad ad al Qaeda – sono stati sconfitti o drasticamente ridimensionati. Hanno rafforzato la propria egemonia sulla penisola arabica, trasformando il Consiglio di Cooperazione del Golfo in una vera e propria alleanza rivelatasi decisiva per schiacciare la rivolta sciita in Bahrein e per trovare una soluzione alla guerra civile yemenita. Hanno enormemente accresciuto il proprio ruolo nella Lega Araba e mantenuto la posizione centrale nell’Organizzazione della Conferenza Islamica da loro stessi creata nel 1970 proprio come contraltare della prima. Hanno visto estendere la propria influenza in tutto il mondo arabo attraverso il finanziamento a milizie, movimenti e partiti salafiti, che si ispirano alla concezione iper-tradizionalista dell’islam wahabita. Sono secondi solo a Israele per la forza della propria lobby a Washington, in grado di ottenere dagli Stati Uniti sistemi d’arma che l’Egitto di Mubarak non poteva neppure sognarsi e continuano ad avere ottime relazioni politico-militari con il Regno Unito, loro antico protettore.
Sono i Saud, i principi-padroni di un Paese cui han dato il nome di famiglia (Arabia Saudita): al contrario di quanto normalmente avviene per le famiglie regnanti che dalla regione prendevano il nome (Savoia, Hannover…), tanto per non lasciar dubbi sul loro modo di intendere la distinzione tra pubblico e privato. Una famiglia estesa di diverse centinaia di persone che governano lo Stato come si gestirebbe un’impresa privata, collocando i diversi membri nelle posizioni chiave del consiglio di amministrazione.
Come quasi tutte le monarchie del Golfo, anche quella saudita ricorda
L’esito della rivoluzione siriana è particolarmente cruciale per i Saud. La caduta del regime di Damasco implicherebbe infatti la spaccatura di quell’«arco sciita» che dall’Iran, attraverso l’Iraq e, appunto
Una transizione di regime in Siria, inoltre, indebolirebbe la posizione degli sciiti di Hezbollah e potrebbe facilitare il ritorno al potere in Libano (dove i sauditi hanno giganteschi interessi) della coalizione riunita intorno al sunnita Hariri. I «guardiani della Mecca» hanno insomma una curiosa coincidenza di avversari con Israele e non a caso, finora, per gli Stati Uniti non è stato poi così difficile mantenere un discreto equilibrio tra le due più potenti lobbies di Washington (filoisraeliana e filosaudita). Ma le cose potrebbero farsi molto più complicate se, per vendicare l’attentato di Burgas, Tel Aviv dovesse decidere di colpire il Libano meridionale in maniera talmente devastante da scatenare un nuovo conflitto. Un’ipotesi che potrebbe saldare le intifadas del 2011-2012 al conflitto arabo-israeliano, e che rappresenterebbe un gigantesco grattacapo strategico tanto per Washington quanto per Riad.
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Franco
per conto di chi operano i sauditi?
Parsi ha difficolta’ o timore a scriverlo…