GERUSALEMME
«Perché Netanyahu ha scelto di formare una lista elettorale unica con (il ministro degli esteri) Lieberman? Per vincere nettamente le elezioni del 22 gennaio e mettersi al riparo da sorprese». Non ha esitazioni nel rispondere alle nostre domande Gerald Steinberg docente all’Università Bar Ilan e analista sbilanciato a destra. Ma non tutti condividono le sue certezze. Tanti si domandano perchè mai un premier e capo di un partito, il Likud, dato in largo vantaggio su tutti gli altri leader politici abbia deciso allearsi con un altro partito, l’ultranazionalista e razzista «Yisrael Beitenu» perdendo (forse) consensi tra gli elettori centristi. Più di tutti se lo domandano nel Likud, dove il ministro per il miglioramento dei servizi pubblici, Michael Eitan, ieri è arrivato al Comitato centrale del partito con l’intento di ottenere un voto segreto e non palese da parte dei 3.700 delegati, sull’accordo «Bieberman», ossia Bibi (il nomignolo di Netanyahu) e Lieberman, così come la televisione Canale 10 ha etichettato l’altra sera il blocco elettorale ultranazionalista costruito dal premier.
Sforzo inutile. Ieri sera tutto lasciava prevedere una approvazione a larghissima maggioranza del «Bieberman» da parte del Comitato centrale del Likud. Netanyahu ha condotto negli ultimi due-tre giorni una campagna serrata ovunque, raccogliendo l’approvazione entusiasta di sindaci e amministratori locali del partito. Un voto blindato, che ha ricevuto la benedizione anche di Yisrael HaYom, il quotidiano di destra più diffuso in Israele, vicino al premier. Ma che alle urne, a gennaio, non darà necessariamente i risultati sperati da Netanyahu, che oggi può contare su 27 seggi (Lieberman ne ha 15) alla Knesset. Se l’entourage del primo ministro, a cominciare dal «guru» Arthur Finkelstein, e un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano Maariv sono certi che la lista «Bieberman» otterrà almeno 42-43 seggi su 120, con una punta possibile fino a 45-46 seggi, altri mezzi d’informazione e altri sondaggi danno indicazioni diverse. Canale 10 domenica sera attribuiva alla lista Likud-Yisrael Beitenu non più di 35 seggi. Stando a diversi analisti gli elettori centristi che alle elezioni del 2009 avevano scelto il Likud, seppur in minima parte rispetto al partito Kadima che poi vinse le elezioni (ma non fu in grado di formare il governo), a gennaio potrebbero scegliere i laburisti della ex giornalista Shelly Yechimovic, destinati, pare, a riprendersi parte dei voti ceduti di tre anni fa a Kadima che oggi appare in caduta libera. Nulla di allarmante per Netanyahu visto che i laburisti non andranno oltre i 20 seggi e che il centro sinistra, o ciò che rimane di esso, non è destinato a rimettere insieme i suoi pezzi.
«Non è certo il timore dell’esito del voto che ha spinto Netanyahu all’alleanza con Lieberman», spiega l’analista e docente universitario Menachem Klein. «E’ anche un matrimonio ideologico quello che si è consumato la scorsa settimana con l’annuncio fatto dal primo ministro» aggiunge, «il Likud non è un partito di centro come qualcuno vorrebbe far credere bensì un partito di destra che ha molti punti in comune con Yisrael Beitenu, a cominciare dalle politiche verso il mondo arabo e i palestinesi». Secondo Klein un peso nella decisione di Netanyahu l’hanno avuto anche i rapporti con i partiti religiosi ultraortodossi. «Il premier ha rapporti stretti con i religiosi ma ora ha bisogno di sottrarsi ai ricatti degli ultraortodossi ed avere, grazie ad una coalizione sostanzialmente laica, le mani libere per fare ciò che vuole in politica interna e in quella estera».
Mani libere per cosa? Per attaccare le centrali nucleari iraniane se, come credono molti, dopo le elezioni del mese prossimo il presidente americano Obama o il suo rivale repubblicano Romney, accoglieranno l’«esortazione» di Netanyahu e fisseranno una «linea rossa», ossia daranno un ultimatum a Tehran. L’accordo «Bieberman» prevede infatti che Lieberman avrà facoltà di diventare ministro della difesa. Significa che Netanyahu è pronto a liberarsi dell’attuale titolare di questo ministero, l’ex leader laburista Ehud Barak. Quest’ultimo se da un lato ha condiviso l’intenzione di attacco all’Iran, dall’altro ha mantenuto contatti stretti con l’Amministrazione Obama, poco gradita in Israele perchè non incline, in apparenza, ad accogliere senza fiatare le pressioni che arrivano da Tel Aviv.
E il conflitto con i palestinesi? E’ l’ultima delle preoccupazioni di Netanyahu.
«Perché Netanyahu ha scelto di formare una lista elettorale unica con (il ministro degli esteri) Lieberman? Per vincere nettamente le elezioni del 22 gennaio e mettersi al riparo da sorprese». Non ha esitazioni nel rispondere alle nostre domande Gerald Steinberg docente all’Università Bar Ilan e analista sbilanciato a destra. Ma non tutti condividono le sue certezze. Tanti si domandano perchè mai un premier e capo di un partito, il Likud, dato in largo vantaggio su tutti gli altri leader politici abbia deciso allearsi con un altro partito, l’ultranazionalista e razzista «Yisrael Beitenu» perdendo (forse) consensi tra gli elettori centristi. Più di tutti se lo domandano nel Likud, dove il ministro per il miglioramento dei servizi pubblici, Michael Eitan, ieri è arrivato al Comitato centrale del partito con l’intento di ottenere un voto segreto e non palese da parte dei 3.700 delegati, sull’accordo «Bieberman», ossia Bibi (il nomignolo di Netanyahu) e Lieberman, così come la televisione Canale 10 ha etichettato l’altra sera il blocco elettorale ultranazionalista costruito dal premier.
Sforzo inutile. Ieri sera tutto lasciava prevedere una approvazione a larghissima maggioranza del «Bieberman» da parte del Comitato centrale del Likud. Netanyahu ha condotto negli ultimi due-tre giorni una campagna serrata ovunque, raccogliendo l’approvazione entusiasta di sindaci e amministratori locali del partito. Un voto blindato, che ha ricevuto la benedizione anche di Yisrael HaYom, il quotidiano di destra più diffuso in Israele, vicino al premier. Ma che alle urne, a gennaio, non darà necessariamente i risultati sperati da Netanyahu, che oggi può contare su 27 seggi (Lieberman ne ha 15) alla Knesset. Se l’entourage del primo ministro, a cominciare dal «guru» Arthur Finkelstein, e un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano Maariv sono certi che la lista «Bieberman» otterrà almeno 42-43 seggi su 120, con una punta possibile fino a 45-46 seggi, altri mezzi d’informazione e altri sondaggi danno indicazioni diverse. Canale 10 domenica sera attribuiva alla lista Likud-Yisrael Beitenu non più di 35 seggi. Stando a diversi analisti gli elettori centristi che alle elezioni del 2009 avevano scelto il Likud, seppur in minima parte rispetto al partito Kadima che poi vinse le elezioni (ma non fu in grado di formare il governo), a gennaio potrebbero scegliere i laburisti della ex giornalista Shelly Yechimovic, destinati, pare, a riprendersi parte dei voti ceduti di tre anni fa a Kadima che oggi appare in caduta libera. Nulla di allarmante per Netanyahu visto che i laburisti non andranno oltre i 20 seggi e che il centro sinistra, o ciò che rimane di esso, non è destinato a rimettere insieme i suoi pezzi.
«Non è certo il timore dell’esito del voto che ha spinto Netanyahu all’alleanza con Lieberman», spiega l’analista e docente universitario Menachem Klein. «E’ anche un matrimonio ideologico quello che si è consumato la scorsa settimana con l’annuncio fatto dal primo ministro» aggiunge, «il Likud non è un partito di centro come qualcuno vorrebbe far credere bensì un partito di destra che ha molti punti in comune con Yisrael Beitenu, a cominciare dalle politiche verso il mondo arabo e i palestinesi». Secondo Klein un peso nella decisione di Netanyahu l’hanno avuto anche i rapporti con i partiti religiosi ultraortodossi. «Il premier ha rapporti stretti con i religiosi ma ora ha bisogno di sottrarsi ai ricatti degli ultraortodossi ed avere, grazie ad una coalizione sostanzialmente laica, le mani libere per fare ciò che vuole in politica interna e in quella estera».
Mani libere per cosa? Per attaccare le centrali nucleari iraniane se, come credono molti, dopo le elezioni del mese prossimo il presidente americano Obama o il suo rivale repubblicano Romney, accoglieranno l’«esortazione» di Netanyahu e fisseranno una «linea rossa», ossia daranno un ultimatum a Tehran. L’accordo «Bieberman» prevede infatti che Lieberman avrà facoltà di diventare ministro della difesa. Significa che Netanyahu è pronto a liberarsi dell’attuale titolare di questo ministero, l’ex leader laburista Ehud Barak. Quest’ultimo se da un lato ha condiviso l’intenzione di attacco all’Iran, dall’altro ha mantenuto contatti stretti con l’Amministrazione Obama, poco gradita in Israele perchè non incline, in apparenza, ad accogliere senza fiatare le pressioni che arrivano da Tel Aviv.
E il conflitto con i palestinesi? E’ l’ultima delle preoccupazioni di Netanyahu.
da “il manifesto”
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