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Egitto. Morte di un giornalista

Con la morte del giornalista indipendente El-Hosseiny Abou-Dief, rimasto in coma per diversi giorni dal fatidico mercoledì dei durissimi scontri nei pressi del palazzo presidenziale, l’incrudimento del conflitto per il potere rappresenta il fantasma che attanaglia un Egitto spaccato. Sabato dovrebbe iniziare il contestato referendum popolare sulla nuova Costituzione e reale è il rischio di un contrasto che vada ben oltre il No o il boicottaggio al voto. Lo stesso balletto della disponibilità alla verifica sulla regolarità delle operazioni di voto e di spoglio che ha visto il ‘Club dei Giudici’ dire prima no, quindi sì, poi nuovamente no ha esasperato ancor più gli animi. E fra gli schieramenti che sostengono e s’oppongono a Mursi enorme è diventato il pericolo della deriva d’una contrapposizione fisica che sostituisce quella dialettica e programmatica. Il 15 seggi aperti in dieci governatorati fra i quali quelli importanti del Cairo, Alessandria, Daqhaliya e Aswan. Il 22 dicembre si voterà in altre diciassette muhafaza. Occhi puntati su quelli di Suez e Port Said dove l’ondata anti islamista è stata più accesa con ripetuti assalti alle sedi della Brotherhood, e quelli in cui gli islamici pensano di ottenere forti consensi: Minya, Qena, Giza, Luxor, Ismaliya.

Riuniti sotto la sede del Sindacato centinaia di giornalisti hanno esternato il dolore e manifestato la protesta per l’attacco estremo al diritto d’informazione rappresentata ora anche dall’eliminazione fisica dei reporter. Ad essi si sono uniti migliaia attivisti laici che intonavano cori ostili alla Fratellanza Musulmana. Membri di questo movimento sono additati quali responsabili della morte del trentatreenne Al-Hosseiny che lavorava per il settimanale Al-Fajr, sebbene altri testimoni hanno dichiarato che il cronista si sarebbe trovato in mezzo a uno scontro accesosi fra sostenitori delle due fazioni e in quella rissa avrebbe ricevuto colpi alla testa. Però altre versioni sostengono che sicuramente i colpi erano inferti da attivisti della Confraternita che l’avevano scambiato per un oppositore a Mursi. A detta dei giornalisti, riuniti sotto la sede della stampa egiziana per partecipare al rito funebre, grave risultava la mancanza del capo del sindacato di categoria Mamdouh El-Wali. “Lui dovrebbe portare la bara, invece quest’assenza sottolinea l’assenso nei confronti dell’attuale potere islamico” ha dichiarato uno di loro al canale di Al-Ahram. Il clima che si respira è nuovamente pesante e riporta alla mente situazioni ed episodi delle settimane seguenti alla caduta di Mubarak riguardo a oppressioni e torture di cui i laici accusano gli avversari.

Un’accusa parla di gruppi di uomini “barbuti” che avrebbero fatto pressione e abusi sui manifestanti pacifici accampati con le tende nell’area circostante il quartiere di Heliopolis dove si sono verificati i durissimi e mortali scontri. Certi partecipanti al sit-in sarebbero stati legali e interrogati da questa sorta di milizie che si trovavano ad agire liberamente senza alcun controllo delle Forze dell’Ordine. Video postati sul web mostrano in effetti contrasti verbali fra contendenti, con una donna neppure tanto giovane sulla cui bocca un uomo corpulento pone la propria mano per impedirle di continuare a lanciare invettive. I due campi si scambiano addebiti sull’uso della violenza e se il giorno seguente al “mercoledì di sangue” alcuni reporter itineranti avevano filmato un attivista islamico che imbracciando un fucile faceva fuoco sugli avversari anche quest’ultimi sono accusati di aver usato armi da fuoco. Fra le vittime, salite ora a dieci, la Fratellanza già nei due giorni seguenti agli scontri sosteneva di contarne sette quali propri attivisti e simpatizzanti, indicati come martiri nei partecipati funerali che hanno avuto la monumentale cornice di El-Khalili e della Moschea di Al-Ahzar.


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