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Egitto, l’incerto futuro delle cento promesse

La campagna elettorale egiziana per le prossime politiche di fine febbraio è in corso. Non ci sono ancora comizi e manifestazioni poiché si sta smaltendo il clima referendario che s’è trascinato dietro tensioni e violenze mortali, riproponendo la profonda spaccatura del Paese e riportando in strada, dopo mesi di basso profilo, le stesse Forze Armate. La ridda di notizie inseguitesi testimoniano un’aria comunque rovente. Nei giorni scorsi s’è parlato di rimpasto governativo, addirittura con la sostituzione del premier che poi non c’è stata, ed erano circolate voci d’un possibile ricambio ai vertici della Banca Centrale fermato anch’esso. Iniziative ipotizzate da alcuni businessmen vicini alla Fratellanza per offrire l’incarico di Capo del governo ad Al-Shater, nota figura della Confraternita che per il comune denominatore imprenditoriale viene benvisto anche da altri capitalisti egiziani pur lontani dall’Islam politico. La mossa doveva evitare il fantasma della bancarotta che s’aggira nella finanza nazionale ampiamente indebitata e bloccata dallo stallo economico. Il tema, diventato angoscioso, sta in questi giorni riprendendo il centro della scena. Il Presidente Mursi l’ha riproposto nel discorso pronunciato sabato di fronte al Consiglio della Shura investito, fino alla riformazione dell’Assemblea del Popolo, di tutto il potere legislativo della Repubblica.

Eppure i richiami presidenziali di “lotta alla povertà, alla disoccupazione, ai prezzi in rialzo e l’implemento d’interventi di giustizia sociale” paiono la ripetizione del programma enunciato in occasione del suo insediamento. Oltre a contrapporsi sulla natura della Costituzione i laici infilzano Mursi proprio sulla stagnazione economica e sulle promesse finora rimaste inattese. Il richiamo presidenziale è a largo raggio e richiama la responsabilità di tutti “Come nazione dobbiamo indirizzare le sfide che sono di fronte alla nostra economia, dobbiamo lavorare tutti duramente per rilanciarla poiché ha enormi potenziali di crescita”. Accuse e repliche restano comunque nel vago assumendo i toni del classico batti e ribatti mostrato in ogni latitudine dalla partitocrazia preelettorale. Realisticamente ciascuno deve misurarsi coi fatti concreti che nelle ultime settimane sono: l’ulteriore perdita di valore della lira egiziana sul dollaro e l’ennesimo blocco dei prestiti del FMI (4,8 miliardi di dollari) motivato dall’incertezza politica. Le stesse agenzie di rating come Standard and Poor’s hanno di recente fatto pesare le proprie pagelle, e bocciature, anche sull’Egitto, soprattutto in occasione delle rinnovate turbolenze politiche. Né è bastata l’approvazione della Costituzione tramite Referendum a una valutazione rimasta ampiamente insufficiente.

Il Presidente ha commentato lo stato delle cose con un sermoncino di buoni propositi in sintonìa col pensiero d’Oltreoceano, dichiarando che “Tutto ciò scaturisce dai recenti contrasti interni che non avrebbero dovuto, e non dovranno, mai ricorrere alla violenza, destabilizzante anche per l’immagine internazionale del Paese”. E vellicando lo spirito nazionale con un “l’Egitto non andrà mai in bancarotta” ha aggiunto una manciata di dati a suo dire confortanti per la seconda entrata nazionale, quella relativa al flusso turistico. Essa, nel primo quarto dell’anno che va chiudendosi, è raddoppiata rispetto all’annata precedente. Mursi ha fatto anche leva sulla magra consolazione d’un debito pubblico egiziano (attorno all’87% del prodotto interno lordo) più basso di quello europeo, ma ciò non risolleva un’economia comunque quasi ferma nonostante lo sbandierato 2,6% di crescita del Pil sempre nel primo quarto del 2012. Insomma anche l’uso dei dati statistici si rivolge più a eventi che prescindono lo stesso blocco islamico (nei primi mesi del 2012, nonostante il successo elettorale dei partiti Libertà e Giustizia e Al-Nour, operava ancora la Giunta Tantawi) e alla volontà di buon governo che a una meticolosa programmazione sociale e finanziaria. Del resto i proclami del Fronte di Salvezza Nazionale non sono da meno e lanciano congetture più che pianificazioni.

Così la propaganda elettorale, comunque avviata, si gioca sulle intenzioni e sui rimpasti operati dai due schieramenti. I più attivi appaiono i salafiti il cui partito maggiore Al-Nour ha subìto un’enorme emorragia con la fuoriuscita di ben 150 quadri presenti in ventitre governatorati. Fra loro figure di primo piano come il portavoce Abdel Ghafur che s’unirà ad Abu Ismail, altro esponente di spicco che ha lasciato il partito fondandone uno proprio. La dirigenza di Al-Nour non sembra scossa e il 1° gennaio presenterà il rinnovato organigramma mentre le agenzie battono una notizia già sentita: il vecchio Mubarak lotta con la morte. 

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