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Freddo, mancanza di cibo e coperte sono alcune delle armi polizia israeliana per tenere sotto pressione #Babalshams. Ma villaggio resiste
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“Noi, figli e figlie di Palestina, annunciamo la nascita di Bab Al Shams. Noi, senza il permesso dell’occupante, senza permesso di nessuno, siamo seduti qui oggi perché questa è la nostra terra e questo è il nostro diritto di viverla. [.] Noi non staremo in silenzio di fronte all’espansione delle colonie e alla confisca continua della nostra terra”.
Alla fine ce l’hanno fatta. Dopo settimane di incontri, discussioni e pianificazioni strategiche, 250 attivisti palestinesi e internazionali due giorni fa hanno occupato una collina nella zona di Al-Tur, meglio conosciuta come area E1, dietro le colline di Gerusalemme.
Coordinati dal Popular Struggle Coordination Committee (PSCC), il gruppo di attivisti ha lavorato, fin dalle prime luci del giorno, alla costruzione di ventiquattro tende da campo vicino ad un insediamento beduino della comunità Jahalin. “Bab Al Shams village” – in italiano, “Porta del Sole” – è scritto sui teli di plastica che segnano il perimetro di queste nuove abitazioni temporanee. Il Coordinamento dei Comitati Popolari ha presentato alla Corte Suprema israeliana una petizione affinchè il nuovo villaggio in costruzione non venisse evacuato. Immediata la sentenza della Corte che ha imposto alle forze israeliane di non evacuare Bab Al Shams per i prossimi sei giorni.
Nonostante ciò, alle 13 la polizia israeliana si è presentata nel neonato villaggio consegnando agli attivisti un ordine di evacuazione immediata. Nessuno ha lasciato la terra: la scorsa notte duecento persone hanno dormito a Bab Al Shams.
“Non sono solo tende – spiega uno degli organizzatori – Insediarsi in questa zona significa supportare la comunità beduina locale che vive in condizioni di estrema difficoltà e rafforzare la presenza palestinese in un’area in cui il governo israeliano non vede l’ora di espandere ulteriormente le sue colonie illegali”. Chiare sono infatti le intenzioni di Netanyahu che, il giorno seguente al riconoscimento della Palestina come Stato non membro osservatore permanente presso le Nazioni Unite, aveva annunciato la costruzione in quest’area di 3mila nuove unità abitative.
“In passato, con la lettera E Israele faceva riferimento alla zona Est di Gerusalemme – spiega uno studente palestinese arrivato questa mattina da Nablus – Il numero 1 è stato aggiunto per indicare un’area più specifica, che si estende per 13 Km² a nord-ovest della colonia illegale di Ma’ale Adumim. Una fetta della zona era stata espropriata nel 1970 per la costruzione di tale insediamento mentre tutto il resto fu stato dichiarato demanio pubblico.
Già nel ’64 sotto la giuda di Rabin, l’area era stata identificata come funzionale all’edificazione e, attualmente, esiste un master plan composto da cinque “piani generali” che prevedono la costruzione di un bacino idrico, di una zona industriale, di 3600 nuove unità abitative su circa 2200 dunam di terra (220 ettari), di 10 hotel e altre 260 unità abitative in 1340 dunam di terra (134 ettari).
Nel 2004 le autorità israeliane si erano già messe all’opera. Ma l’Autorità Palestinese si era lamentata con l’amministrazione Bush e Condoleezza Rice aveva chiesto chiarimenti. Dopo una tirata d’orecchie, Dov Weissglas – inviato dell’allora premier Sharon – aveva promesso che Israele non avrebbe costruito nella zona E-1. E infatti, nel 2005, i piani sono stati congelati, rimanendo da allora gli stessi.
Eppure, dal 2003 al 2005, il ministero dell’edilizia guidato da Effie Eitam dà il via ad una vasta campagna di costruzione in tutta la Cisgiordania, tra cui l’area E-1. Allora, con un investimento di milioni di shekel, il Ministero aveva predisposto le infrastrutture per la costruzione di nuove case, di un’autostrada a tre corsie e della rete fognaria.
Ieri come oggi, quello cui l’amministrazione israeliana aspira è la creazione di un corridoio di colonie con cui Tel Aviv possa collegare Gerusalemme all’insediamento di Ma’ale Adumim, fino ad arrivare al Mar Morto. L’obiettivo è spezzare in due la Cisgiordania e rendere impossibile la creazione di uno Stato Palestinese.
“Noi siamo qui e ci rimarremo”, afferma un membro del PSCC, mentre il sole inizia a scendere tra le colline della Cisgiordania. “Rimarremo qui nonostante la Corte Suprema abbia dichiarato che possiamo stare in quest’area solo per sei giorni e nonostante l’ordine di evacuazione che la polizia israeliana ci ha recapitato all’una di questa mattina. Sotto il sole o con la pioggia, noi rimarremo qui per sempre”. Nena News
*Volontaria in Palestina del Servizio Civile Internazionale (SCI)
da Nena News
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