Trentatré anni, residente a Issawiya, quartiere palestinese di Gerusalemme Est, Samer Issawi sta portando avanti una battaglia personale che è però specchio dell’intero movimento dei prigionieri palestinesi. Contro la detenzione amministrativa e contro le condizioni di vita a cui sono costretti i detenuti palestinesi nel sistema carcerario israeliano.
Samer ha ormai perso 47 chili, non tocca cibo da agosto e rifiuta le cure mediche della clinica militare di Ramle. Vive in una sedia a rotelle e vomita sangue. Aveva smesso di bere acqua, per poi ricominciare, convinto dalla Croce Rossa. “Il suo cuore potrebbe fermarsi in qualsiasi momento”, ha detto Daleen Elshaer, coordinatore della campagna Free Samer Issawi.
Issawi era stato arrestato per la prima volta nel 2002 per possesso di armi e partecipazione alle attività di un gruppo militare. Rilasciato nell’ottobre del 2011, nell’ambito dello scambio di prigionieri tra Hamas e Israele (il cosiddetto accordo Shalit), è stato di nuovo arrestato a luglio 2012 accusato di aver violato i termini dell’accordo di rilascio. Ovvero, non uscire dai confini del Comune di Gerusalemme.
E oggi muore nel silenzio del mondo: “Samer sta resistendo con la nonviolenza ad un’occupazione violenta – prosegue Elshaer – E la sua famiglia sta subendo continue vessazioni. Hanno tagliato l’acqua alla casa della sorella e l’abitazione di suo fratello è stata demolita all’alba del primo gennaio”.
Nena News aveva incontrato la famiglia di Samer, nel quartiere di Issawiya, a fine dicembre. Il padre ci ha chiesto di essere suoi ambasciatori in Europa. La madre, tra le lacrime, ci ha raccontato del suo dolore immenso: “Questa non è vita, è sofferenza continua. Uno dei nostri figli, Fadi, è stato ucciso da un soldato israeliano nel 1994, aveva solo 16 anni. Samer è in prigione. In un altro carcere, Israele sta detenendo anche un altro dei nostri figli, Medhat: quando Samer ha cominciato lo sciopero della fame, Medhat ha deciso di seguirlo, in solidarietà con la sua battaglia. Per punizione, le autorità carcerarie lo hanno messo in isolamento, non possiamo vederlo né parlargli. Ho una figlia avvocato, Shireen: l’hanno minacciata di toglierle la licenza se tenta di aiutare Samer”.
“Nessuno merita di vivere così, nemmeno un solo giorno: non sapere se tuo figlio morirà, attendere con angoscia che ti dicano che non ce l’ha fatta. Non potergli stare vicino in un simile momento. Lo so, dobbiamo essere coraggiosi: ci hanno preso la terra, hanno ucciso nostro figlio, e ora hanno in mano Samer e Medhat”.
Si muove intanto l’Autorità Palestinese: il presidente Mahmoud Abbas ha fatto appello ieri alla comunità internazionale perché intervenga e salvi la vita dei prigionieri in sciopero della fame. Abbas ha inviato una lettera al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, spiegando le condizioni critiche in cui versano Samer Issawi, Jafar Ezzedin, Ayman Sharawneh e Tareq Qadan.
(fonte: Nena News)
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