Una settimana fa l’emittente australiana ABC ha trasmesso un’inchiesta di mezz’ora che ha raccontato la storia di un giovane ebreo australiano che, arrestato nel marzo del 2010 e detenuto nella prigione Ayalon a Ramle, si era suicidato nella sua cella a dicembre dello stesso anno.
Il ragazzo, immigrato in Israele alla fine degli anni Novanta, era entrato subito nei servizi segreti israeliani (il Mossad). In realtà questa notizia non era del tutto nuova. Nel dicembre 2010 il blogger americano Richard Silverstein aveva sostenuto che il prigioniero (poi suicidatosi) fosse un generale iraniano chiamato Ali Reza Asgari rapito dal Mossad. Il 27 dicembre la notizia, con qualche cambiamento, veniva ripresa da Ynet, sito di Yediot Aharonot, il tabloid più venduto d’Israele. A differenza di altri casi di suicidio nelle carceri, nessuno prestò molta attenzione a questa tragica storia e, come se non bastasse, la notizia fu presto rimossa (o censurata?) dal sito.
Poi quasi due anni di silenzio fino al 12 dicembre scorso quando la storia è stata finalmente ripresa dall’ABC. Tuttavia i problemi per la stampa israeliana, esattamente come due anni prima, non erano ancora terminati: per diverse ore i giornalisti israeliani, infatti, non hanno potuto dare la notizia a causa del divieto che vige nello “Stato ebraico” di pubblicare notizie che «possono mettere a repentaglio la sicurezza dello stato d’Israele». L’ufficio del primo ministro aveva persino convocato d’urgenza una riunione con la commissione degli editori tentando di censurare lo scoop australiano che pone in serio imbarazzo i servizi segreti di Tel Aviv ed il suo governo.
Ciononostante, quattro parlamentari Gal-On e Horovitz (Meretz, sinistra sionista), Ahmad Tibi (Lista araba unita) e Nachman Shai (partito laburista) approfittavano della presenza del ministro della Giustizia alla Knesset per fargli delle domande sul caso Ben Zieger di cui aveva parlato l’ABC poche ore prima. Così in diretta tv il pubblico israeliano veniva a conoscenza per la prima volta dell’esistenza di un prigioniero suicida nella cella di massima sicurezza nel carcere Ayalon. I quattro coraggiosi politici avevano sfruttato la loro immunità parlamentare che permette loro di discutere di informazioni segrete all’interno della Knesset, a condizione, ovviamente, che non sia messa a repentaglio la sicurezza d’Israele.
L'”ordine bavaglio” veniva parzialmente rimosso in serata alle 20:25 e solo da quel momento i media locali hanno potuto trasmettere il servizio dell’ABC. Un divieto tolto solo in parte: i giornalisti israeliani nelle ore in cui scriviamo non possono indagare sul caso ma limitarsi a riportare le notizie dei media stranieri. Sebbene le informazioni sul “Prigioniero X” si arricchiscano (e si contraddicano a volte) di nuovi particolari ogni ora che passa, è possibile tuttavia fissare alcuni punti che paiono oramai acquisiti.
Ben Zieger nasce in Australia e alla fine degli anni Novanta compie l’aliya (l’emigrazione in Israele). Lavora per il Mossad per dieci anni e, poco prima di essere arrestato da Tel Aviv nel marzo 2010, è ricercato dai servizi di sicurezza australiani (ASIO). L’ASIO, infatti, indagava due anni fa su tre cittadini ebrei australiani che avevano utilizzato i propri passaporti per compiere operazioni per il Mossad. Ad attirare i sospetti dell’Intelligence di Canberra era stata la sostituzione dei loro veri nomi con altri che potevano essere identificati come ebraici. Non è chiaro se tra i tre ricercati ci fosse anche Ben Zieger. Certo è però che anche ha cambiato almeno quattro volte il suo nome: da Ben Zieger è passato a Ben Alon a Ben Allen e, infine, a Ben Buroz.
Secondo il quotidiano australiano Age, l’inchiesta dell’ASIO sui tre australiani immigrati in Israele era iniziata sei mesi prima dell’uccisione Mahmud Al-Mabhuh, uno dei fondatori delle Brigate palestinesi Izz Al-Din Al-Qassam, che ebbe luogo in un hotel di Dubai nel gennaio del 2010. Age nega il coinvolgimento dei tre nell’operazione nonostante la polizia di Dubai avesse dichiarato allora che tra i membri del Mossad a Dubai ve ne erano alcuni dal passaporto australiano. Il giornalista Jason Kotsokis di Fairfax Media fu l’unico che riuscì a contattare Zieger e a cui chiese esplicitamente se era vero che l’Intelligence australiana lo stesse indagando perché membro del Mossad in Europa e in Iran. Il giovane, infastidito e innervosito, negò tutto.
Forse furono proprio le chiamate di Kotsokis a favorire, involontariamente, il suo arresto da parte del Mossad. Un’altra importante informazione che Kotsokis fornisce è che Zieger con altri due australiani lavorava per una società che vendeva materiale elettronico in Iran. Il giornalista riuscì a contattare anche il direttore della società per la quale il giovane agente dei servizi segreti “lavorava”. Tuttavia questi si rifiutò di parlargli. La tesi, secondo cui Zieger, fosse un “osservato speciale” da parte dell’ASIO è confermata dal quotidiano Age che racconta di “un attenzione particolare” rivolta dall’Intelligence di Canberra a Zieger quando questi decise di ritornare in Australia nel 2009 per studiare Economia Aziendale all’università. Ad aumentare i sospetti dell’ASIO furono le sue frequentazioni con studenti iraniani e sauditi.
Due giorni fa il giornalista australiano dell’ABC Trevor Burman (il primo a parlare del caso del “Prigioniero X” una settimana fa) ha sostenuto che il Mossad aveva il sospetto che Zieger aveva fornito informazioni segrete ai servizi segreti australiani. Secondo Burman il giovane si sarebbe incontrato varie volte con gli uomini dell’ASIO e avrebbe raccontato i particolari di alcune operazioni che il Mossad di lì a poco avrebbe dovuto compiere. Tra queste ve ne sarebbe stata anche una segretissima in Italia a cui l’Intelligence israeliana, guidata all’epoca dei fatti da Meir Dagan, stava lavorando da anni. Non è ancora chiaro se sia stato Zieger a contattare l’ASIO (in tal caso si potrebbe definire un “agente segreto doppio”) o se gli “incontri” rientrassero nell’inchiesta aperta dall’Intelligence di Camberra sui suoi “vari nomi”.
Una ricostruzione dei fatti leggermente diversa è stata pubblicata ieri dal quotidiano tedesco Der Spiegel. Zieger sarebbe stato arruolato nel Mossad quando era ancora in Australia ed era membro dell’Organizzazione di Difesa della comunità ebraica di Melbourne. Quando ritornò in Australia nel 2009 l’agente segreto dalla nazionalità australiana e israeliana chiese di cambiare i suoi vecchi passaporti suscitando i timori delle autorità locali che notarono su di essi la presenza di molti visti di Iran, Siria, Egitto e Dubai. E furono proprio tutti questi elementi che, secondo il quotidiano tedesco, consolidarono i sospetti che l’ASIO già da tempo nutriva su di lui. I servizi segreti australiani avrebbero voluto arrestarlo per “spionaggio” ma gli uomini della Sicurezza israeliana furono molto più lesti e li anticiparono: lo arrestarono il 24 Febbraio 2010 e immediatamente avvisarono l’Intelligence australiana dell’Ambasciata di Canberra a Tel Aviv.
Atteggiamento di Tel Aviv
Se la storia presenta molti lati oscuri, di certo non ha aiutato l’atteggiamento del governo di Tel Aviv. Dopo i primi giorni di imbarazzante silenzio, il premier israeliano Benyamin Netanyahu è intervenuto sul caso Zieger domenica mattina nella consueta riunione governativa. Dopo aver espresso la sua piena fiducia alle forze di sicurezza d’Israele, il primo ministro ha ostentato orgoglio: «Mi fido profondamente delle leggi che abbiamo in Israele. Le forze di sicurezza e l’Intelligence israeliani agiscono nel loro pieno rispetto. Nell’osservare il rispetto della sicurezza e delle leggi, abbiamo tenuto conto anche della libertà di opinione, ma rivelare più dettagli avrebbe potuto colpire, danneggiare anche gravemente, la sicurezza dello Stato che, nella realtà che vive Israele, è di importanza centrale».
Ha poi concluso il suo breve intervento ribadendo la differenza tra Tel Aviv e gli altri Paesi: «Noi non siamo come gli altri Stati. Noi siamo uno Stato democratico modello e rispettiamo i diritti dell’individuo e di chi è sotto inchiesta come qualunque altro Stato. Ma [a differenza degli altri] siamo più minacciati e perciò dobbiamo essere prudenti con le attività dei reparti della nostra sicurezza». Sin da quando è scoppiato il caso del “Prigioniero X” il 12 febbraio, il governo di Tel Aviv ha preferito il silenzio. Se il premier non è intervenuto sulla questione per cinque giorni, non è stato diverso l’atteggiamento degli altri membri del governo.
Il primo ad intervenire ufficialmente è stato il ministro della Sicurezza Interna Yitzhak Aharonovitch due giorni fa. «L’arrestato è stato inizialmente in stato di fermo per alcuni giorni, poi di volta in volta la sua detenzione è stata allungata dal Tribunale di Pace. Si è poi deciso di arrestarlo fino al termine degli atti processuali (lui era d’accordo) dopo aver ricevuto l’atto d’accusa. Il Tribunale ha disposto, su richiesta del Pubblico Ministero, di non pubblicare il caso. L’arrestato era d’accordo con il divieto».
Aharonovitch ha poi spiegato che anche la scelta di un nome falso è stato fatto con il pieno sostegno dell’arrestato per motivi di sicurezza personali e della sua famiglia. Ha poi concluso il suo intervento ricordando che la presidente del Tribunale di Pace di Rishon LeTzion, il giudice Dafna Baltman Kadrai, è stata incaricata di investigare sulle cause della morte del giovane. Interessante sottolineare nelle dichiarazioni di Aharonovitch come sia ossessivamente ripetuta la frase “volontà dell’arrestato” che stride con la realtà dei fatti: chi accetterebbe la detenzione «volontariamente» con un nome falso fino alla fine degli atti processuali?
Ieri è stata diffusa la prima nota ufficiale da parte dell’ufficio del primo ministro. Nella nota si chiarisce che Zieger non era un “doppio agente”: «Noi sottolineiamo che il Sig. Zieger non aveva alcun legame con i servizi segreti australiani [come è stato detto in questi giorni]». Da qui si deduce che il reato commesso dal giovane agente del Mossad è stato il passaggio di informazioni ad altri servizi di Intelligence che non sono quelli australiani. Questo avviso può essere letto come un tentativo (goffo) di limitare i danni che l’intera vicenda può aver creato negli ottimi rapporti diplomatici fra Israele e l’Australia.
«Si è suicidato nella doccia»
Un po’ a sorpresa ieri mattina il giudice Dafna Baltman Kadrai ha deciso di pubblicare alcune parti dell’inchiesta sulle cause della morte del giovane ebreo australiano. L’investigazione sarebbe iniziata subito dopo il suicidio di Zieger e si sarebbe conclusa qualche mese fa. Secondo i risultati pubblicati ieri, l’agente segreto si sarebbe suicidato nella doccia della cella in cui si trovava e sarebbe morto soffocato. A provare questa tesi è stato il ritrovamento del corpo del giovane con un lenzuolo stretto al collo e legato alla finestra del bagno.
Non è stato riferito tutto: lo stesso giudice ha tenuto a precisare che alcuni capitoli dell’inchiesta saranno secretati così da non deviare le indagini sulla presunta «negligenza» di chi avrebbe dovuto tenere sotto stretta sorveglianza Zieger. Sebbene l’inchiesta spieghi come sia morto il ragazzo australiano, molti analisti l’hanno giudicata deludente perché non si pone l’obiettivo di comprendere cosa abbia spinto il giovane a suicidarsi. «Cosa è accaduto nel cervello e nell’anima del giovane? Nel suo sangue sono stati ritrovati calmanti? Chi ha fatto credere al giovane, in un modo o nell’altro, che non vi era più via d’uscita, che la morte sarebbe stata meglio della vita? Di tutto questo il giudice Baltman-Kadrai si è disinteressata» si è domandato perplesso Oren sulle pagine di Ha’Aretz.
I tanti punti interrogativi
Gli interrogativi di Oren non sono purtroppo gli unici. Restano, infatti, molti dubbi su molti aspetti della vicenda “Zieger, Prigioniero X” che finora ci sono stati raccontati. La censura operata sui media locali da parte del governo di Tel Aviv non fa altro che aumentare i sospetti. La prima domanda da porsi è rappresentata dal suicidio del giovane. Come è possibile che sia avvenuta senza che nessuno abbia visto e fatto qualcosa per impedirlo? E possibile motivarla solo come «negligenza»?
Zieger era imprigionato in isolamento nell’ala 15 del carcere Ayalon di Ramle tra le più sicure di tutta Israele. La cella in cui era detenuto era stata costruita per “ospitare” Yigal Amir, l’assassino del “premier della pace” Rabin. Proprio per evitare che Amir si potesse togliere la vita o che qualcuno gli potesse far del male, furono installati dei modernissimi sistemi di video sorveglianza che riprendessero la cella ventiquattro su ventiquattro. Per evitare qualunque pericolo di “suicidio” gli addetti penitenziari dovevano scrivere un rapporto in cui dovevano descrivere cosa avevano visto nelle telecamere di sorveglianza e dovevano controllare la cella ogni ora.
Pertanto in base a tutte queste “norme di sicurezza” come è possibile che Zieger si sia suicidato senza che nessuno se ne accorgesse? Perché persino molti dei carcerieri non erano a conoscenza del nome vero di Zieger e fu a loro proibito di parlargli? Interessanti sono poi le dichiarazioni dell’avvocato del ragazzo Feldman e del giornalista Kotsokis. Entrambi hanno incontrato il “Prigioniero X” pochi giorni prima del suo suicidio e hanno dichiarato che il ragazzo, nonostante l’isolamento, era in buone condizioni mentali e appariva lucido nell’affermare la sua innocenza.
Ma pur ammettendo il suicidio per «negligenza» come si può giustificare il silenzio della famiglia e degli amici del ragazzo? Stando a quanto sostiene Canberra, la famiglia è stata subito avvisata e non ha mai chiesto di indagare sul suicidio limitandosi ad esprimere il desiderio di seppellire il proprio amato a Melbourne. É assurdo che qualcuno, per quanto folgorato dall’amore per Israele e consapevole dell’eventuale “errore” del figlio, non abbia espresso quanto meno perplessità di fronte a questa morte dubbia e non abbia mai deciso di indagare l’operato di Tel Aviv e non abbia mai preteso chiarimenti da Canberra.
Qualcuno sostiene che sia stato scelto il silenzio per non danneggiare la comunità ebraica australiana già nell’occhio del ciclone dopo lo scandalo passaporti in seguito all’uccisione di Al-Mabhuh. Ma un amore per uno Stato o un’appartenenza a un qualunque gruppo etnico o religioso, per quanto forte che sia, può giustificare a livello umano la morte atroce e oscura di un figlio? E non sembra essere chiaro nemmeno perché il Mossad abbia dovuto nascondere l’arresto ed il presunto suicidio di Zieger. Se il ragazzo ha “deviato dalla retta via” che ogni bravo agente dei servizi segreti deve seguire, non sarebbe stato un ottimo monito per i futuri membri dei Servizi Segreti far sapere pubblicamente che questa è la fine che spetta a chi “tradisce” o “sbaglia”?
Perché in fin dei conti tanti silenzi, censure e contraddizioni? Qual è il legame tra Zieger e la sicurezza dello Stato d’Israele? Insomma cosa è in gioco veramente nel caso del “Prigioniero X”? Dubbi che attanagliano anche il noto editorialista di Ha’Aretz Gide’on Levy: «Si è suicidato, forse è stato assassinato. Può darsi che ha tradito o forse no. Come lo sapremo? Come lui ce ne sono altre? Come sapremo chi sono e quanti ne sono? Chi ce lo dirà? E quanti arabi palestinesi sono stati fatti scomparire e sono scomparsi, quanti si sono “suicidati” e sono morti?».
Levy osserva con dolore «Anche nell’Israele del 2013 è possibile far scomparire le persone. Questo “caso” mostra come niente sia cambiato. Israele è come i regimi oscurantisti, Israele è come quello degli anni 50 [in cui Tel Aviv faceva scomparire le persone]». Proprio per questo motivo il caso del giovane australiano è il suicidio di un paese intero «Il sangue di Zieger ora grida. Ma non riguarda solo le circostanze della sua vita e della sua morte. Si parla di qualcosa di molto più profondo: il “caso” qui non è (solo) il suo. E’ affare di tutti ma domani sarà dimenticato».
da Nena News
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