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I misteri di certe violenze egiziane

Il motivo dei tumulti era stata la pena capitale comminata a 21 residenti arrestati dopo altri scontri nel locale stadio di calcio avvenuti il 1° febbraio 2012. Lì morirono 72 tifosi del club calcistico cairota Al-Ahly avversario del  Masry.

                 

Di quest’ultimo episodio s’è parlato in più occasioni ricordandone i risvolti oscuri, divulgando i sospetti d’una strage pilotata dalla giunta Tantawi, dell’uso di agenti infiltrati fra la folla, di baltagheya assassini che comunque avevano trascinato dietro a sé anche gli ultrà Green Eagles acerrimi avversari dei giallorossi del Cairo. In quella notte criminale molti supporter locali si erano prestati al pestaggio e soprattutto erano finiti nella retata seguente con cui gli agenti antisommossa, rimasti immobili durante gli assalti agli spalti, avevano poi fermato responsabili e non.

Nel Paese dove un mese via l’altro tensioni non solo verbali sono cresciute e a fine novembre le piazze islamica e laica si sono contrapposte in maniera sanguinosa il desiderio di giustizia si è trovato a fare i conto col desiderio di vendetta e punizioni esemplari. Ed è giunta una sentenza durissima contro abitanti di una località per tradizione operaia e ribelle e dal mese di dicembre apparsa in aperta contestazione verso l’amministrazione islamica. E’ vero che le tifoserie di football vivono di proprie vicende e logiche esterne a questioni sociali e ideali ma gli stessi ambienti del popolarissimo sport, soprattutto da due anni a questa parte,  risentono dell’aria della “Primavera”. Tant’è che per i fatti dello Stadio da più parti si disse che si voleva dare una lezione agli irriducibili di Tahrir,  gli stessi giovani che sulle barricate anti Mubarak e poi anti Tantawi sventolavano i vessilli dell’Al-Ahly. Ma secondo molti testimoni dei più  recenti scontri di Port Said c’è un ulteriore mistero.

Perché se è vero che l’assalto alla prigione cittadina per tentare la liberazione dei condannati a morte è stata guidata dai loro compagni di fede del Masry, se è vero che gli scontri nelle strade hanno visto protagonisti migliaia di ragazzi dell’area del Delta ci sono altri punti oscuri sui morti di quelle giornate. Gli agenti antisommossa giunti sul posto nella notte hanno dichiarato di aver avuto in dotazione solo i terribili gas lacrimogeni che da mesi stanno intossicando, e in alcuni casi uccidendo, dimostrati e passanti. Non armi da fuoco. Eppure parecchi cadaveri risultano centrati da proiettili. Le armi erano impugnate dai poliziotti posti a protezione del carcere e d’un ufficio di servizio entrambi assaltati che le hanno usate durante l’assedio rispondendo ai fuoco dei manifestanti. Ma chi erano i manifestanti? Secondo l’ex giocatore Ibrahim El-Marsy, detto Maradona di Port Said, che ha seguìto il processo gli attacchi alla prigione sono partiti mentre la gente stava ancora ascoltando la sentenza. Sembrav insomma un’azione preordinata da chi sapeva della condanna capitale.

Versione confermata anche dai poliziotti presenti nell’edificio che si son visti assediati improvvisamente quando la rabbia spontanea, sfogata poi per tre giorni, teoricamente doveva ancora montare. Altro sospetto riguarda i due agenti, caduti per primi e colpiti all’interno della prigione da un tiro proveniente dai tetti. Tetti inaccessibili dall’esterno. Solo chi aveva le chiavi del cortile sarebbe potuto accedere velocemente lì. E il giorno seguente un altro oscuro episodio: durante il corteo funebre un motociclista di passaggio sparava sulla folla che seguiva i feretri delle vittime procurando ulteriori morti e scompariva. A Port Said cittadini e ultrà calcistici si sentono incastrati in un doppio complotto che li ha usati il 1° febbraio 2012 e nuovamente il mese scorso. Forse in ritardo pensano d’essere manipolati da poteri occulti che travalicano la guida di ieri del Consiglio delle Forze Armate e quella islamica di oggi. L’unica forza egiziana che pare perpetuarsi saldamente al potere e che arma i baltagheya professionisti e occasionali sotto ogni governo. 

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