L’ultima volta, cinque anni fa, il conto delle vittime superò quota 1000. Oggi, con le urne appena aperte, fonti indipendenti parlano al massimo di 20 cadaveri lasciati per la strada, ma la sfida è appena cominciata.
Il Kenya va al voto in quella che la maggior parte degli osservatori internazionali definiscono «una giorata storica» per la riforma costituzionale del 2010: oggi non si elegge solo il nuovo presidente, ma ci si dovrà esprimere anche su 47 governatori, 47 senatori, 47 rappresentanti donne, 290 membri del parlamento e 1.450 rappresentanti di contea.
Il dispiegamento di forze è ingente: 100mila agenti di polizia sorvegliano i 33mila seggi elettorali in cui i 44 milioni di elettori dovranno recarsi. Ma non solo, ad assicurare la regolarità del voto ci sono anche 23mila osservatori, di cui 2.600 provenienti dall’estero. Tra gli otto candidati presentati, la vera sfida dovrebbe essere quella tra Uhuru Kenyatta e Raila Odinga. Il primo appartiene alla più grande tribù del Kenya, i Kikuyu, mentre il secondo appartiene ai Luo, outsider che non sono mai stati al potere.
La campagna elettorale è stata funestata dagli scandali: qualche giorno fa è addirittura apparso in rete un video con due candidati governatori che compravano voti: Ferdinand Waititu (esponente di Kikuyu) e James Ongware (di Luo). Questa mattina poi, non accennano a fermarsi gli scontri tra le forze dell’ordine e gruppi armati che si aggirano per le città.
In questa situazione, comunque, si sono inseriti anche due storici dibattiti televisivi tra i candidati alla presidenza, andati in onda su otto canali televisivi e 34 radio, oltre che sull’ormai onnipresente Youtube. Il tema principale – oltre al ‘canone’ a base di istruzione, salute, economia, politica estera e correzione – è stato quello della questione etnica: il Kenya è devastato dal conflitto tra tribù e certo non aiuta la presenza in pole position di Kenyatta, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per le violenze del 2008. Regno Unito e Francia potrebbero non riconoscere una sua vittoria, mentre il capo degli affari africani Usa, Johnnie Carson, ha esplicitamente invitato i kenyani a a fare attenzione a chi eleggono, in un chiaro spot in favore di Ongware.
Nel 2007, data delle ultime elezioni, la vittoria di Mwai Kibaki fu contestata duramente dal Movimento Democratico Arancione, con accuse di brogli e di irregolarità ai seggi. La polemica degenerò in scontri e violenze: il conto finale fu di 1200 morti e 600mila sfollati. Alla fine Odinga fu nominato presidente e nominò la metà dei ministri, con il tribunale dell’Aia che incriminò 6 persone, tra cui, appunto, Uhuru Kenyatta.
Dopo gli scontri, nel 2010, il governo e il parlamento vararono la nuova Costituzione, con nuovi posti di governo nelle zone rurali del paese, con conseguente decentramento del potere. Ultimo particolare riguarda il ‘voto biometrico’ – la schedatura delle impronte digitali e delle caratteristiche del viso di ogni elettore – che in teoria dovrebbe arginare eventuali brogli.
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