La corsa è tutta sul ballottaggio: ci sarà o non ci sarà? Ad un terzo dei voti scrutinati – e le cose potrebbero andare avanti ancora a lungo – Uhuru Kenyatta è in vantaggio sul primo ministro uscente Raila Odinga con il 54% contro il 41% dei suffragi. Staccatissimi e senza alcuna possibilità di rientrare in gioco gli altri candidati. Discreta anche l’affluenza: stabile sui 14 milioni. Previsioni della vigilia rispettate dunque, anche se non ci si aspettava un simile boom di Kenyatta, che potrebbe dichiarare la sua vittoria già nella serata di oggi, se lo spoglio dovesse continuare ad andare così. Ad ogni modo, la proclamazione ufficiale del vincitore non avverrà prima della settimana prossima. E sarà allora che il rischio di scontri e violenze toccherà il suo apice.
Una sua vittoria, ad ogni modo, aprirebbe scenari internazionali imprevedibili: Gran Bretagna e Francia hanno già lasciato intendere che, con i Kikuyu al potere, i rapporti diplomatici si interromperebbero, mentre gli Usa hanno apertamente fatto campagna elettorale pro Odinga, con il quale esisterebbe già un accordo per continuare la lotta ai gruppi jihadisti locali. Con scarsi risultati, verrebbe da dire a questo punto.
Kenyatta – già ministro delle Finanze nel governo presieduto dal suo sfidante, nonché figlio del fondatore del Kenya, Jomo Kenyatta – è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per le violenze delle passate elezioni, quando nel paese si registrarono 1200 morti e oltre 600mila sfollati. Un massacro che non solo distrusse l’economia del paese, ma gettò nello sconforto gli osservatori internazionali, che hanno visto affondare nel sangue l’unica democrazia stabile dell’area sub sahariana.
Seppur in maniera minore rispetto alle precedenti, comunque, anche queste elezioni sono state segnate dalle violenze: a poche ore dall’apertura dei seggi, infatti, due scontri nel distretto di Changamwe (Mombasa) hanno fatto registrare 17 morti, tra i quali 9 agenti di polizia. Dietro gli scontri, stando alle prime indiscrezioni, ci sarebbe il Consiglio repubblicano di Mombasa (Mrc), un movimento separatista che vuole la secessione della costa dal resto del paese. Il gruppo però ha seccamente smentito alla Reuters: «Non siamo responsabili di attacchi, da nessuna parte», questa l’unica dichiarazione fatta via telefono.
Queste elezioni passeranno alla storia per essere le prime indette dopo la riforma costituzionale del 2010: oltre alla presidenza, infatti, saranno eletti anche 47 governatori, tra cui – forse – anche Abon’go Malik, ritenuto essere il fratellastro musulmano del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
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