L’accordo non era stato facile, ed era servita una lunga maratona dei leader europei per accettare e limitare quel che Cameron e Merkel volevano: tagli da 100 miliardi. Ieri, invece, la maggioranza qualificata dei due terzi ha approvato una mozione bipartisan firmata da popolari, socialdemocratici, liberali e Verdi che chiede di riaprire un negoziato.
Fin qui gli accordi tra gli stati erano sempre stati ratificati senza particolari problemi da un Parlamento considerato soltanto come un’istituzione pro forma, ma enza potere legisaltivo reale. Questo voto, invece, segnala un tentativo di invertire la priorità e conferire peso effettivo all’istituzione comunitaria.
Il bilancio, comunque, verrà discusso e votato nella sua forma definitiva non prima di giugno.
«È UN GIORNO molto importante — ha detto il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz —. Nelle democrazie nazionali è normale che i governi presentino progetti di bilancio e che i Parlamenti le accettino o meno. Normalmente, anzi, le respingono e si negozia». Schulz ha spiegato che «il primo obiettivo è definire le priorità politiche e la struttura della spesa». Sullo sfondo, in trasparenza, si vede comparire la spinta delle forze che chiedono “politiche per la crescita” e non soltanto “rigore” idiota. La questione è perciò con quali fondi e rinunciando a cosa si possono promuovere politiche espansive.
Oggi e domani i capi di Stato e di governo della Ue si riuniranno e dovranno prendere atto della pressione . proveniente soprattutto da Francia e Italia. Le quali chiedono non solo tempi più lunghi per il “risanamento”, ma di poter effettuare investimenti produttivi, scorporandoli dal calcolo del deficit pubblico.
La proposta italiana è di creare una nuova commissione per valutare quali investimenti produttivi possono essere scomputati, secondo la logica non ancora operativa della “golden rule”. Ma c’è anche la necessità di “iniettare liquidità” aggiuntiva nel sistema delle imprese piccole e medie, riducendo i tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni, senza però aggravare il fabbisogno e quindi il deficit. Un problema certamente più italiano che francese…
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