Come preavviso di sfratto è decisamente autorevole. È arcinoto infatti che Carlo De Benedetti, incidentalmente azionista dominante del gruppo L’Espresso, dunque in primo luogo del quotidiano Repubblica, è parte del ristretto gruppo d’élite che “ha messo lì” Matteo Renzi e la sua corte di absolute beginners. “L’abbiamo messo lì noi” è del resto l’ormai famosa rivendicazione pronunciata da Sergio Marchionne.
Dopo appena due anni e mezzo lo stellone italico che sembrava proteggere il premier venuto dal sottobosco masson-democristiano della Toscana è talmente spento che la “tessera numero uno” del Partito Democratico – sempre l’ing. De Benedetti, guarda caso – apre ufficialmente la stagione del ricambio.
L’intervista data al Corriere della Sera – che resta la camera di compensazione della classe dirigente italiana (chiamarla borghesia o “salotto buono” appare decisamente eccessivo e retrò) – è singolarmente chiara. A partire dalla contestualizzazione:
«Siamo a un tornante storico. La globalizzazione di cui abbiamo cantato le lodi genera un sentimento di rigetto verso le classi dirigenti politiche ed economiche; e nel mio piccolo mi ci metto anch’io. Abbiamo consentito alla globalizzazione di espandere i suoi benefici per tutti noi: abbattere l’inflazione, rivoluzionare insieme con la tecnologia la vita quotidiana. Ma sono aumentate drammaticamente le differenze tra chi ha e chi non ha».
Per arrivare ad annunciare un incrudimento radicale della crisi aperta ufficialmente nel 2007-08 e quindi ai problemi della governance nel continente europeo e nello specifico italiano. Un’articolazione involontariamente quasi “marxista-leninista”, che viene da trent’anni sbeffeggiata nelle sinistre cosiddette radicali o antagoniste (smarrendo così la possibilità stessa di capire il punto in cui ci si trova), ma che a quanto pare costituisce l’unico modo di inquadrare lo stato delle cose e delineare le possibilità d’azione (“la fase e i nostri compiti”, insomma).
Non c’è spazio per le nostalgie. Il ringraziamento a Renzi, per il lavoro cinicamente violento da lui compiuto, è sincero, ma non si traduce affatto in un “continua così”.
Quali cambiamenti pretende De Benedetti dal “suo” governo? Qualcosa di irrealizzabile nelle condizioni attuali: a) cambiare la legge elettorale immediatamente, in modo da impedire che i Cinque Stelle possano vincere alle prossime elezioni; b) «Ribellarsi alle regole europee su due punti. Primo: nazionalizzare le banche che non ce la fanno da sole; c) «Sul vincolo del 3% per investire sul sapere. Collegare alla banda larga tutte le scuole sarebbe il vero modo di cambiare verso. Ridare la leva del sapere a chi la merita è più importante che rispettare un numerino. Se l’Europa vuole battere un colpo, cominci dalle generazioni future. Un’Europa che parla solo del passato rischia di morire, di dissolversi e — uso una parola grossa — di tornare alla stagione delle guerre.
Impossibile per questo governo e la maggioranza di presi per caso che la compone, ovviamente.
Nel complesso del ragionamento dell’Ingegnere vanno colte secondo noi due due cose fondamentali. La prima, e più strategica, riguarda il rapporto tra lo Stato nazionale e l’Unione Europea. Il consiglio è quello di fottersene dei richiami all’austerità perché tanto la Ue attuale – dopo la Brexit e prima di una cascata inarrestabile di “violazioni” (dalla distribuzione dei profughi ai vincoli di bilancio) – non gli sembra più in grado di prendere decisioni vincolanti per tutti. Detto da un sostenitore della prima ora dell’attuale Ue sembra in effetti un requiem, anche se le conseguenze disgregatrici di questo processo di ri-nazionalizzazione generale appaiono molto poco considerate. Insomma, quel tormentone che esonda ogni giorno da tutti i media principali (“o si sta alle regole europee oppure i mercati finanziari ci massacrano”) nelle parole di De Benedetti appare improvvisamente privo di sostanza. Storytelling…
Ed è proprio su questo terreno che la bocciatura di Renzi appare definitiva:
«Renzi ha rotto la corda del trascinamento del passato. Ma è un formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il lavoro, le banche non vanno bene. Non è certo colpa di Renzi; ma Renzi, come me, fa parte delle élite. E la gente se la prende con lui».
Quindi non va più bene perché la fase del “raccontare storielle” va chiusa rapidamente. La crisi sta peggiorando, spazi di ripresa non se ne vedono, e un contafrottole che sa giocare solo sul registro dell’ottimismo diventa una palla al piede; un boomerang.
Non abbiamo ancora l’identikit del successore (serve altro tempo per sceglierlo con cura, forse), ma il suo “programma di governo” è già scritto: niente regalie elettorali (gli 80 euro gli son rimasti sul gozzo), tagli di spesa, investimenti infrastrutturali e, soprattutto, una legge elettorale che prenda atto del “sistema tripolare” esistente.
Cosa significa? Che l’Italicum è stata una sciocchezza da fessi presuntuosi, che avevano considerato il fenomeno Cinque Stelle come una meteora di breve respiro, con una rappresentanza parlamentare fatta di esordienti acquistabili con pochi spiccioli (e in questo modo sono stati affrontati nel primo anno di legislatura, con qualche successo). L‘Italicum era dunque la soluzione “bipolare” che doveva istituzionalizzare il governo del pupazzo di turno, scelto dall’élite italiano-europea.
Sta di fatto che questo modo di procedere, autocentrato, ha trasformato i Cinque Stelle – loro malgrado, forse – nel contenitore di tutto l’elettorato schifato dal Palazzo. Ultima spiaggia prima del rifiuto totale che apre in genere le porte a dinamiche conflittuali differenti.
De Benedetti si è fatto due calcoli. Con l’Italicum, il formidabile contafrottole toscano rischia seriamente di fare la fine di Fassino e consegnare il paese a un movimento che ha tutti i difetti di questo mondo, ma non è – al momento – sotto il controllo di De Benedetti, l’Abi e Marchionne.
Dunque via Renzi e avanti con una legge elettorale che consenta di unire l’elettorato del centrodestra con quello del Pd, in modo da avere maggiori chances di tenuta.
Tutto qui il suo disegno strategico, Ingegnere? Davvero poca roba, per un’élite che dice di guardare al futuro…
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