Nella Kabul del tardo inverno polvere e fango diventano fratelli. Si fondono, s’impastano non solo negli scolatoi che costeggiano le maggiori strade, colorano di grigio e verde petrolio migliaia di pozze d’acqua schivate o centrate dagli pneumatici delle Toyota che sgassano fra bici, carriole e carrettini tirati a mano. Inquinamento e zero servizi sono il volto incancrenito della capitale dove comunque sopravvivono quattro milioni di anime, divise fra le casupole centenarie abbarbicate sulle colline che dominano la parte piatta della citta’, casettine che paiono baracche, nuove palazzine e ville degli arricchiti guardate a vista da uomini armati. A Shahr No, la citta’ bassa, spiccano come reliquie di passato e presente il Silos sovietico e la cinta di cemento dei compound dell’occupazione ‘stelle-strisce e palate di dollari’ buoni per i businessmen ma inutilizzati per qualsivoglia impiego verso la popolazione. In un Paese in guerra le infrastrutture si distruggono e si logorano, ma un conflitto che prosegue per decenni rende “normale” il peggiore abbrutimento. E’ quanto denunciano in Afghanistan le voci dell’opposizione. E’ quanto nascondono da tempo media asserviti e politici corrotti, qui come a casa nostra.
Eppure certe malefatte vengono talvolta narrate anche da voci ufficiali e schierate come la nota Tolo Tv: il ministero delle Finanze, dove siede Omar Zakhilwal, aveva raccolto di recente somme destinate a particolari servizi per la collettivita’, invece quei denari sono finiti in banche canadesi. Si puo’ immaginare a vantaggio di chi. Le contraddizioni s’inseguono e si ripetono da oltre un decennio, perche’ l’Enduring Freedom che doveva liberare il Paese dai talebani ma anche occuparsi della ricostruzione non ha centrato il primo obiettivo e non s’e’ mai interessata al secondo. Cio’ nonostante spende annualmente 100 miliardi di dollari, un milione al giorno a militare. E sta stanziando otto miliardi di dollari all’anno per l’addestramento dell’esercito afghano mentre il governo locale ha un bilancio di uno e mezzo. Le follie della guerra e della presunta sicurezza non hanno pari negli sperperi e tengono bloccata ogni voce dell’economia, da quella degli inesistenti servizi a quelle produttive che sono regredite rispetto ai primi mesi dell’occupazione occidentale. Altro esempio: le risorse idriche sono abbondanti e sarebbero sufficienti al fabbisogno, invece vengono in buona parte acquistate dall’Iran. Un tempo in questa provincia l’elettricita’ proveniva da una centrale idroelettrica non distante da Kabul, dal 2003 e’ sotto utilizzata per favorire il commercio di generatori di ditte occidentali venduti da un affarista cittadino. Casi simili sono diffusi, ne parlano non solo gli afghani che ci illustrano la cronaca, ma gli stessi attivisti politici incontrati in questi giorni.
In certe aree del nord dal 2007 e’ iniziato lo scandaglio del sottosuolo alla ricerca di riserve petrolifere, le concessioni le ha fatte il presidente in persona che tutti sanno essere stato un uomo della compagnia statunitense Unocal. Ma per il presente – e soprattutto per il suo futuro – Karzai ha guardato avanti, pensando al capitalismo dominatore del domani e ha concesso quello sfruttamento a un’azienda cinese. Alcuni pozzi sono gia’ attivi e vantaggiosi ma solo per Pechino e per mister Karzai, alla faccia dei lavoratori locali – non di quell’impresa che come altre non utilizza manodopera afghana – che comunque quando riescono a lavorare non superano un guadagno di due-tre dollari al giorno. Chi e’ fortunato riesce a lavorare dai sette ai dieci giorni al mese. I conti son presto fatti e sono drammatici. Il panorama e’ devastante, la ricaduta in condizione di poverta’ di milioni di persone soprattutto nelle campagne e nelle province piu’ lontane, e’ enorme. Eppure esiste un prodotto che e’ in mano a un afghano su tre e non si tratta del nan, il pane tipico del luogo bensi’ di telefonia mobile. Nel Paese si contano 13 milioni di telefoni cellulari. Avete capito bene, tredici milioni, un giro d’affari pazzesco. Anche in tal caso lo zampino e I guadagni sono stranieri. Si dividono i proventi quattro grandi gestori: le statunitensi Rosshan e Awcc, la saudita Etisalat, la sudafricana MTN.
Invece quel che occorre per il quotidiano – e non parliamo chesso’ di trasporti pubblici, ma di necessita’ collettive come le strutture sanitarie, sia in funzione salvavita sia per la prevenzione della salute e delle malattie – e’ in affanno di fondi. Nei casi gravi chi puo’ permetterselo va in India agli altri non resta che pregare. Le moschee comunque non mancano, quella sciita finanziata da Teheran spicca nel suo splendore lungo la via che porta alla zona detta Cinema Pamir, che sotto le bombe del conflitto civile degli anni Novanta ha fatto la fine del Nuovo Cinema Paradiso e non esiste piu’. L’area pero’ ha conservato quel nome. Poi c’e’ la moschea talebana, frequentatissima. Fra i fedeli risultano alcuni dei Signori della guerra e del business che investono e guadagnano per se’ e i famigli. Il vicepresidente Fahim, quello del partito Jamat-e Islami, che aveva favorito suo fratello Asin piazzandolo nel consiglio direttivo della Kabul Bank, l’ha ulteriormente aiutato quando questi s’e’ dovuto dimettere dopo uno scandalo per ammanchi. Forse – nessun giudice l’ha provato ma non e’ stata neppure tentata un’indagine – i denari mancanti sono serviti al parente celebre per creare una sua compagnia aerea low cost, la Kam Air. In piu’ Asin Fahim organizza copiosi giri d’import-export con l’Iran.
Da vero gossip e’ l’ultima vicenda che ha coinvolto Gul Agha Shirzai, costruttore edile originario di Kandahar e presidente della provincial di Jalalabad. Un imprenditore che ha finanziato anche la campagna elettorale, udite udite, di Barack Obama. E certo una simile notizia non l’ha battuta nessuna Agenzia ne’ l’abbiamo letta sulla stampa statunitense e occidentale. A mister Shirzai, ricchezza, successo e ottime entrature nell’establishment addirittura mondiale non mancano. Cosi’ come qualcuno molto noto in Italia anche certo gentil sesso stravede per lui. Aveva avuto quattro mogli e altrettanti divorzi, poi su un volo galeotto per Dubai ha incrociato una nuova fiamma. Giovanissima, come da costume non solo afghano. L’ha portata a Jalalabad, riempita di doni e impalmata. Ma il matrimonio non dev’essere un suo passo fortunato. Dopo non molto la ragazza si e’ stufata e a insaputa del consorte (potere dello status di qualche donna in Afghanistan) ha preso un aereo ed e’ tornata a casa. Con un regalo particolare: una parure di gioielli da far sbiancare piu’ d’una regina. Pare che il marito non abbia rivendicato ne’ lei ne’ il lauto bottino. Ne sarebbe scaturito un contrasto internazionale con gli Emiri che il diplomatico Karzai non avrebbe gradito.
Da Kabul, Enrico Campofreda, 15 marzo 2013
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