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Lo striscione di Livorno, una lettera degli ‘Ebrei contro l’occupazione’

Sullo sfondo dei drammatici eventi a Gaza, si sono rivelate nelle ultime settimane forti tensioni tra dirigenti della Comunità Ebraica livornese ed esponenti della Sinistra cittadina. Pur non essendo livornesi, abbiamo seguito questa vicenda, il cui eco ha raggiunto anche la stampa nazionale, perché purtroppo riflette sentimenti presenti anche in altre località. Come membri di un’associazione di ebrei italiani che si mobilitano per il rispetto dei diritti dei palestinesi, vorremmo proporre alcune riflessioni al riguardo.

Com’è noto, uno striscione dalle parole forti (“genocidio a Gaza”; “Israele terrorista”) ha spinto alcuni dirigenti della Comunità Ebraica livornese a richiederne la rimozione in quanto da essi ritenuto antisemita, cioè razzista. Questo striscione rivolgeva dure parole contro lo Stato d’Israele, impegnato in una campagna militare a Gaza, ma non parlava di ebrei, né evocava generalizzazioni nei loro confronti, né è stato esposto davanti alla Sinagoga in modo da lasciar intendere che gli ebrei, in quanto tali, fossero corresponsabili delle azioni del governo israeliano. E sebbene le espressioni “genocidio” e “terrorista” in questo contesto possano essere discutibili per qualcuno o urtarne le sensibilità, né l’eventuale non correttezza né la mancanza di riguardo sono da considerare  razzismo.

Paradossalmente, chi ritiene che contestare Israele sia un atto antisemita, e cioè di ostilità nei confronti degli ebrei in quanto tali: 1) attribuisce a tutti gli ebrei un’unica posizione politica, cosa non solo inconcepibile ma anche palesemente infondata – v. i numerosi intellettuali ebrei e le tante organizzazioni ebraiche che si oppongono alle politiche israeliane; e 2) suggerisce che gli ebrei, ovunque, sarebbero da ritenere responsabili delle politiche di un paese di cui non sono neanche cittadini. Per assurdo, quindi, proprio coloro che tacciano di antisemitismo chi critica Israele, fanno generalizzazioni ingiuste nei confronti degli ebrei.

Ciò non significa che la critica a Israele non possa sfociare in antisemitismo. Un recente manifesto fascista, per esempio, invitava a “non comprare dagli ebrei [romani, descritti anche come “infami”] per fermare il massacro a Gaza”. Questo è sì un manifesto antisemita, ed è stato prontamente condannato dai principali movimenti romani di solidarietà alla Palestina: una lotta per i diritti non può macchiarsi di razzismo.

Purtroppo, però, accuse infondate di antisemitismo (o di “odio di sé”, se chi dissente è ebreo) vengono spesso utilizzate in maniera strumentale per silenziare il dissenso e impedire un serio dibattito sulle violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele. Questa pratica mina pericolosamente anche il fondamentale principio democratico della libertà di parola, e rischia di banalizzare il razzismo rendendolo più difficile da combattere. L’unica lotta possibile all’antisemitismo è la più ampia lotta contro il razzismo, ovunque.

Shmuel Gertel

Simona Sermoneta

membri di Rete Ebrei Contro l’Occupazione

 

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