ore 17.00
RABBIA PALESTINESE PER IL DISCORSO DI OBAMA A RAMALLAH
Ufficiali di Fatah e dell’OLP hanno espresso alla giornalista Amira Hass la loro delusione e la loro rabbia per le parole utilizzate dal presidente Obama durante la visita a Ramallah: troppo morbido sulla questione delle colonie, Obama “ha parlato di ‘palestinesi’ – mai di Palestina, mentre la parola ‘Israele’ è stata ripetuta senza fine. In Israele ha parlato delle paure dei bambini di Sderot senza menzionare quella dei bambini di Gaza e Cisgiordania. Ad esempio dei figli di Arafat Jaradat, ucciso in prigione durante un interrogatorio”.
ore 12.15
PROTESTA A RAMALLAH, SCONTRI TRA MANIFESTANTI E POLIZIA
Sono scoppiati piccoli scontri tra la polizia palestinese e circa 150 manifestanti a Ramallah, mentre è in corso l’incontro tra il presidente Obama e il presidente Abbas. I manifestanti, con in mano le scarpe in segno di disprezzo, cantano slogan contro gli Stati Uniti e chiedono ad Obama di andarsene.
Questa mattina centinaia di palestinesi si sono ritrovati in piazza Al Manara, al centro di Ramallah, per protestare contro la visita del presidente Usa, accusato di non fare nulla per i diritti nazionali del popolo palestinese. I manifestanti hanno marciato verso il palazzo presidenziale Miqata, ma sono stati fermati dalla polizia.
ore 12.00
AHFAD YOUNIS RESISTE
L’esercito israeliano è tornato nel nuovo villaggio palestinese di Ahfad Younis per intimare agli attivisti palestinesi di andarsene. Il gruppo – circa 300 persone – ha rifiutato. I soldati hanno promesso lo sgombero appena Obama lascerà il Paese.
di Michele Giorgio
Ahfad Younis (Gerusalemme), 21 marzo 2013, Nena News – «Questo villaggio di tende è la risposta ad una Amministrazione americana complice del colonialismo e dell’occupazione». Abir Qubti, portavoce del Coordinamento dei Comitati popolari palestinesi, risponde categorica alle nostre domande. Parla mentre 300 attivisti palestinesi stando dando vita di nuovo all’accampamento di Bab Shams nel corridoio di terra “E1” (13 kmq), tra Gerusalemme Est e la Valle del Giordano, dove il premier israeliano Netanyahu intende far costruire migliaia di case per coloni. A gennaio la polizia israeliana lo evacuò con un atto di forza e anche questo nuovo villaggio di tende, battezzato Ahfad Younis (il nipote di Younis, il protagonista del romanzo “Bab al-Shams” di Elias Khouri), è destinato a subire la stessa sorte. «Obama e gli Stati Uniti – spiega Abir – tacciono di fronte alle violazioni e gli abusi sistematici a danno dei palestinesi. Dovrebbero invece riconoscere che la Cisgiordania occupata è terra palestinese e non appartiene a Israele».
È forte la rabbia tra gli attivisti. Mentre ieri issavano le 15 tende di Ahfad Younis, da Tel Aviv e Gerusalemme arrivavano le dichiarazioni di Obama sui legami e diritti storici del popolo ebraico «sulla terra di Israele». «Non ne siamo affatto sorpresi», ci diceva ieri Amer, un altro protagonista di questa ennesima iniziativa dei Comitati popolari contro la colonizzazione. «C’è un impegno sistematico degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali volto a riconoscere solo la narrazione storica israeliana. Eppure questi paesi sanno che è contro la storia. È uno stravolgimento politico e culturale che vuole negare i legittimi diritti dei palestinesi anche solo su di una piccola parte della loro terra», ha aggiunto Amer.
Gli umori a Bab Shams-Ahfad Younis riflettevano ieri i giudizi di gran parte dei palestinesi dei Territori occupati, alla vigilia della visita di Barack Obama a Ramallah dove oggi incontrerà il presidente dell’Anp Abu Mazen e il premier Salam Fayyad. Un meeting inutile secondo molti, che non porterà alcun beneficio e che potrebbe sfociare in pressioni sui dirigenti palestinesi per farli tornare al tavolo delle trattative, rinunciando alla precondizione dello stop alla colonizzazione israeliana. Nei giorni scorsi si sono svolte manifestazioni e raduni a Ramallah e in altre località. Ieri anche a Gaza. In protesta contro l’arrivo di Obama (che domani visiterà brevemente la Chiesa della natività a Betlemme). Sono stati calpestati poster con l’immagine del presidente americano e scanditi slogan contro il «no» pronunciato lo scorso novembre da Obama all’adesione della Palestina alle Nazioni unite come Stato osservatore.
«Questa amministrazione segue il percorso tracciato da quelle precedenti che hanno usato il diritto di veto (nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu) per ben 43 volte per aiutare Israele e negare i diritti dei palestinesi», sottolinea Abir Qubti.
Abu Mazen da parte sua riceverà con tutti gli onori il presidente americano. Chiederà a Obama di convincere il premier israeliano a sbloccare i fondi palestinesi (700 milioni di dollari in dazi doganali e tasse) che tiene congelati dallo scorso novembre (da allora Israele ha trasferito solo 200 milioni di dollari nelle casse dell’Anp in profondo deficit). Il presidente palestinese spera anche di persuadere Obama a spingere per ottenere la liberazione di detenuti politici in carcere in Israele. In particolare di Samer Issawi, in sciopero della fame da mesi (accetta solo flebo di sali e glucosio) e in condizioni critiche. Ieri Laila Issawi, la madre del prigioniero ha indirizzato un appello a Obama per la scarcerazione immediata del figlio.
Tra i palestinesi non manca chi non si arrabbia e piuttosto ironizza sulla visita di Obama nei Territori occupati. Il cantante Alaa Shiham ha scritto una canzone per l’arrivo del presidente Usa. «Obama vuole uno Stato per noi, ma dice che lo Stato ha bisogno di più tempo. Aspettiamo da sempre, possiamo aspettare ancora», dice il ritornello. Nel video che spopola su Youtube, si vede Obama, interpretato da un attore locale, che rimane bloccato al check point israeliano di Kalandia e che ad un certo punto tira fuori un cartellino rosso con la scritta “Veto”. «Obama usa il veto – canta Shiham – e se non ci diamo una mossa non avremo più aria da respirare o acqua da bere».
da Nena News
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