Hillary Clinton o Donald Trump? Una scelta storica, drammatica dell’elettorato statunitense? Malgrado l’ossessiva attenzione dei mass media apatia, astensionismo e il grande filtro del Collegio Elettorale determineranno l’esito della consultazione.
Fuga di cervelli: un amico che ha trovato impiego alla Columbia University e che sedici anni fa mi era venuto a trovare a New York mi chiede di accertare se nell’edificio dove abitavo ci siano appartamenti in affitto. Chiamo Joe, l’anziano portiere afro-americano: ci sono tre appartamenti vuoti per via della crisi economica – risponde con voce tesa e rabbiosa. Teme l’esito elettorale di domani? “I don’t give a f… about it” – non me ne frega niente – qui si parla solo della vittoria dei Cubs, un disastro.. I Chicago Cubs la squadra di baseball che non vinceva da 108 anni ha battuto i favoriti Cleveland Indians trionfando nel campionato delle World Series: è come se in Italia il Crotone vincesse il campionato di serie A e la Champions League.
Gli afro americani come Joe, il 13,3% della popolazione USA di 321 milioni, e cioè 40 milioni circa di abitanti, diserteranno in massa le urne. Non solo per la delusione lasciata loro da Obama, delusione che ha confermato la loro preesistente ostile estraneità allo establishment bianco, ma anche per l’appoggio incondizionato di Hillary e Donald alla polizia che negli ultimi dodici mesi ha ucciso più di duecento neri nelle città americane. Diverso il caso degli ispanici – in gran parte messicani – (16%, 49 milioni) che con una maggioranza superiore al 50 per cento voteranno per la candidata democratica contro cioè l’avversario repubblicano promotore di una vera e propria pulizia etnica negli Stati Uniti d’America (deportazione di undici milioni di messicani, costruzione di una grande muraglia, dazi punitivi sulle importazioni dall’America latina).
Aggiungendo ad una discreta conoscenza della repubblica stellata accumulata in 38 anni di lavoro giornalistico oltre atlantico, un secondo sondaggio personale delle ultime ventiquattro ore: al telefono questa volta un anziano giornalista in pensione del Washington Post, tutt’ora collaboratore del quotidiano, un’amicizia che risale ai tempi del Watergate, è oggi sostenitore di Hillary Clinton. Domanda: l’intervento a favore di Trump del direttore del Federal Bureau of Investigation James Comey che nove giorni fa aveva annunziato al Congresso di avere riaperto l’inchiesta sulle decine di migliaia di e-mails di Hillary Clinton per poi comunicare a 48 ore dalle elezioni che in quelle e-mail non c’era nulla di nuovo e quindi si doveva tornare all’assoluzione dello scorso luglio, orbene quell’intervento e la resipiscenza dell’ultim’ora avevano danneggiato e poi azzerato i danni arrecati alla campagna della candidata democratica? Risposta: ”In famiglia ho una madre novantenne ed una cognata settantenne che alla televisione guardano solo i documentari della National Geographics e le riedizioni di ‘I love Lucy’, una moglie in gran dispetto della politica ed un figlio di 28 anni che dopo il sostegno esteso da Bernie Sanders alla Clinton voteranno per il candidato dei Verdi Jim Stein. Se avevano vaghe nozioni sull’assoluzione di luglio, non sanno o non vogliono saper nulla dell’ultima giravolta del degno erede di J. Edgar Hoover? Ecco il perché il Donald continua a chiedere inchieste e condanne alla galera della nostra candidata. Il quadro familiare può rispecchiare quello di gran parte dell’elettorato, un elettorato umorale, che approva o disapprova carattere e personalità dei candidati ma si disinteressa dei dettagli della politica, dei programmi o assenza di programmi dei leaders dei partiti”.
Un quadro desolante, reso più desolante da quei pochi estremisti dello sfascismo antiamericano che preferiscono un cialtrone fascistoide ad una pericolosa guerrafondaia. Il primo è amico di Putin – dicono – e a differenza della seconda non ha sulla coscienza quei morti per il semplice motivo che non ha mai comandato nessuno, neppure i guardiani di un giardino zoologico.
Né va dimenticata una ricorrente tradizione dei Presidenti neo-eletti: prende il nome dalla barbarica cerimonia iniziatoria del “talli-ho”, della Caccia alla Volpe in Inghilterra, “the blooding og the hounds”, il cospargere con il sangue di una lepre o di una volpe già uccisa le orecchie dei cani da caccia. Ad eccezione di Eisenhower e di Carter tutti gli altri presidenti dell’ultimo mezzo secolo hanno scatenato una guerra o hanno intensificato quella ereditata dai loro predecessori.
A chi chiede un pronostico sul vincitore di questa anomala e disdicevole campagna elettorale si potrebbe rispondere con l’antico e consunto adagio del “follow the money”, seguite il finanziamento più cospicuo e il finanziamento più cospicuo è andato alla Clinton. Più valido come fattore determinante dell’esito e quel grande baluardo o schermo ideato dai padri della patria per limitare o abrogare del tutto la condivisione dei poteri con “the rabble”, la teppa, e cioè il pieno esercizio della sovranità popolare. Si chiama Collegio elettorale, ogni stato dà un numero di delegati che corrisponde – quasi sempre – alla popolazione di ogni stato più due. Chi vince di un solo voto l’elezione in quello stato acquisisce tutti i delegati nel Collegio. Pertanto un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti può ottenere la maggioranza dei suffragi nazionali e perderla nel Collegio elettorale. Ecco perché gli Stati Uniti sono una repubblica con istituti democratici e la parola democrazia non è menzionata dalla Costituzione.
La scelta di chi domani si asterrà dal voto è chiara: potrebbero scrivere sotto i due capolista “none of the above”, nessuno dei su menzionati.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Mic
Se vince Trump, poveri americani.
Se vince Clinton, povero resto del mondo.