La minoranza copta, che poi così esigua non è forte dei suoi 8-9 milioni di fedeli, è stata al centro di episodi d’intolleranza da parte di fondamentalisti del salafismo più fanatico reagendo essa stessa in maniera violenta. Oppure s’è trovata usata e colpita da agenti dell’Intelligence infiltrati e da uomini in divisa in occasione di pubbliche manifestazioni. Due i casi più tragici: i massacri del Maspero al Cairo nell’ottobre 2011 e quello dello stadio di Port Said pianificata alcuni mesi dopo.
C’è un’altra minoranza che reclama spazio e denuncia pressioni, intimidazioni, vendette quella degli sciiti egiziani, comunità minuta sebbene le cifre che ne connotano la presenza siano controverse. I suoi detrattori e acerrimi avversari d’un salafismo che si rifà ai princìpi del wahabbismo saudita li quantifica in qualche migliaio di elementi. Loro si conteggiano in un consistente numero vicino a quello dei cristiani: otto milioni di fedeli. Una più realistica stima li fa oscillare fra gli ottocentomila e i due milioni. Nulla però è certo, perché da anni il Paese non effettua censimenti e tiene sul vago statistiche di qualsiasi genere. Ma al di là dei numeri il problema esiste e diventa pressante di fronte a vere campagne anti sciite lanciate da propri network.
Taluni egiziani sciiti inseriti in ruoli pubblici denunciano, come ha fatto di recente un professore di Tanta, nel Delta del Nilo, pretestuosi allontanamenti dall’insegnamento. Altri parlano di un ferreo giro di vite registrato in ogni esibizione pubblica del loro credo. Di contro l’accusa salafita è rivolta al presunto proselitismo religioso. Dopo la sanguinosa bagarre del dicembre 2011, in cui migliaia di sunniti contestarono la pubblica celebrazione dell’Ashura, il dito è puntato sui luoghi d’incontro in onore di Hussein, il nipote di Maometto considerato dagli sciiti il vero continuatore dell’Islam originario. I salafiti non li tollerano, lo Stato deve tutelarli ma spesso non lo fa. Sul versante politico gli sciiti egiziani vengono considerati, ma solo dagli estremisti sunniti, agenti dell’Iran anche quando non mostrano nessun tangibile contatto con quel Paese.
Ne deriva un ostracismo sociale con perdita di lavoro sia negli incarichi statali sia privati e una sorta d’assedio economico che in tempo di crisi rappresenta una vera maledizione. Intervistato da una rete televisiva un esponente della comunità sciita egiziana affermava “Non possiamo avere un posto decente a causa della nostra fede”. Gli uffici dell’Unhcr hanno evidenziato la questione ma la stessa comunità internazionale vola basso sostenendo di voler “evitare ingerenze nella vita della nazione”. Però talune componenti salafite spingono sulla Fratellanza, sostenendo che il permessivismo diventerà un boomerang per la nazione. E lo sheikh Hegazy si distingue per drastiche esternazioni che accusano gli sciiti di raggirare e adescare i poveri verso la loro religione.
La risposta è altrettanto decisa e caratterizzata da valutazioni politiche oltre che confessionali. Un noto pensatore sciita d’Egitto, che sul web accusa i salafiti e i “fascisti religiosi”, sostiene che costoro applicano acriticamente e in maniera pericolosa dottrine wahabbite del regno Saud. Sotto accusa anche l’articolo 219 della recente Costituzione, contestato per altri motivi dagli stessi copti, che stabilisce i princìpi della Legge Islamica secondo fonti accettate nella dottrina sunnita. Mentre speranze e aperture sono rivolte alle massime autorità della Moschea Al-Azhar, soprattutto l’imam El-Tayeb affinché faccia pesare la sua presigiosa influenza per smussare i toni di un contrasto esasperato che mette in pericolo il dialogo fra le fedi e la convivenza del popolo.
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