Giuseppe Pittaluga è uno storico compagno e attivista della Val Bisagno.
Ha scelto di candidarsi con Marika Cassimatis, la vincitrice delle “comunarie” per il Movimento 5 Stelle, non riconosciuta dallo staff pentastellato con cui ha ingaggiato una travagliata battaglia giudiziaria.
La Cassimatis ha deciso di candidarsi sindaco con una lista civica che porta il suo nome, forte della partecipazione ad importanti battaglie condotte nel passato e delle sua spiccata sensibilità antifascista, nonché delle attenzioni per le questioni sociali con un riferimento costante alle tematiche originarie del Movimento.
Parallelamente alla frammentazione della rappresentanza politica nel campo dell’alternativa all’attuale quadro politico in città, si è assistito al proliferare di scelte politiche “individuali” senza che si fosse proceduto ad un vero e proprio confronto tra le forze dell’opposizione. Hai scelto di candidarti con Marika Cassimatis, quali sono le motivazioni di questa scelta e come pensi che si possa inserire questa decisione nella costruzione della rappresentanza politica delle classi subalterne in città?
Una componente del originario del M5S era la determinazione, espressa ad esempio nella lunga storia della Val Susa e del dissenso NoTav, dove l’unica opzione da considerare per cui condurre l’iniziativa era ed è l’opzione zero rispetto alla costruzione di quest’opera. E su questo si è costruita la più edificante esperienza di aggregazione, controllo e potere popolare dell’ultimo decennio.
Un NO di quelli che aiutano a crescere. Ovviamente questo vale per tutto il movimento antagonista, nelle sue molteplici componenti, di cui una parte di M5S ne era integrante sin dai primordi. Questa è stata una “formazione” politica autonoma che ci accomuna.
Una determinazione a sostenere il conflitto, cosa che oggi non trovo nelle istanze né nella discussione che ha prodotto come risultato l’aggregazione delle forze istituzionali rimaste a sinistra in città con le entità meno politicizzate e più attive nell’impegno civile e sociale organizzato, in un disegno che invece prevede degli accordi di governance e collaborazione, sostenendo una sorta di male minore, senza fare i conti – mi pare – con un conflitto emergente, con contraddizioni che invece pretendono risposte nette.
Nel tentativo di Marika Cassimatis di collocare il M5S genovese a “sinistra” e della conseguente Lista autonoma ho incontrato esattamente queste due questioni: valutare come patrimonio comune le esperienze di partecipazione popolare e la sensibilità politica di non sottostare ad accordi o compromessi uscendo dal M5S: l’autonomia appunto della Lista.
Intravedo in questo la determinazione a sostenere il conflitto, se e quando necessario. E mi pare sia il collante ideale che servirebbe ad una organizzazione di opposizione oggi.
Da qui la mia scelta di “candidarmi” per la Lista Cassimatis, cioè di contribuire con la mia formazione Socialista e libertaria a elaborare le intuizioni, cercando di incidere sulle tematiche portando un punto di vista “di classe”, in un gruppo dove comunque l’estrazione sociale popolare facilita l’empatia ma dove ovviamente le modalità di analisi sono differenti.
Nel caso che qualcuno della Lista entrasse come Consigliere, sarebbe all’opposizione, e il mio contributo è che, una volta lì, si faccia l’unica cosa possibile in rappresentanza del dissenso popolare: si trasporti la rivendicazione nel Palazzo, si trascini il conflitto in Aula, e si faccia in modo di metter “lor signori” all’angolo il più spesso possibile. E come dicevo, ci vuole determinazione a sostenere a lungo un confronto duro.
La Val Bisagno è soprattutto conosciuta fuori Genova per le vicende relative alle conseguenze delle ultime due alluvioni che si sono abbattute sul capoluogo ligure, volevamo chiederti quale è la situazione di questa porzione di territorio densamente popolata rispetto al dissesto idro-geologico e se e come sono cambiate le cose?
La Val Bisagno è un cimitero di “opzioni zero” mancate. Territorio asservito storicamente a vari servizi ed a piccole industrie, la Media Val Bisagno per anni è stata fortunatamente dimenticata, sino a che gli allocati pubblici e privati hanno smantellato lasciando aree dismesse a disposizione, un po’ per tutti.
Recentemente la furia palazzinara si è rivolta a questi spazi, riempendoli e trasferendone il valore in tasche lontane e altrui, vuoi con edifici commerciali vuoi con tentativi di nuovi insediamenti residenziali.
Questo ovviamente senza riguardo alcuno per il dissesto idrogeologico, noncuranti dei danni milionari provocati dalle cicliche emergenze: eclatanti rimangono la costruzione di Bricoman in un rivo e il mega complesso di edifici sul torrente Geirato, oggi ancora in costruzione.
Territorio con la popolazione polverizzata, in un paesaggio a tratti ancora bucolico, ha due denominatori comuni: il fiume Bisagno e la tradizionale presenza di occupati, ed ex occupati, di AMT, Amga, Amiu, e alcune Sedi di queste Aziende.
In questi anni è stato il fango ad essere il collante sulla pelle degli abitanti, grazie alle continue piene del fiume ed alluvioni; questo ha portato a una consapevolezza diffusa ed ha permesso la percezione del fiume stesso come filo d’unione e motivo di aggregazione, di iniziativa politica, creando una coscienza critica comune su questa tematica.
La disgregazione del lavoro e la crisi di rappresentanza hanno forse impedito che il secondo fattore emergesse come determinante, pur essendo evidente ed evidenziato, ad esempio nella manifestazione autoconvocata in Valle per il Risanamento, nel 2015.
Nel contempo i luoghi di lavoro sono in via di ristrutturazione, privatizzazione, sprecando anche potenzialità di sviluppo sostenibile e competenze operaie.
Una dimensione, quella della Val Bisagno in alcuni tratti più a monte, alla fine salvata proprio dalla sua marginalità, che forse è riuscita a farne un limbo rincuorante, con i suoi circoli operai, le bocciofile e le associazioni sportive, i cacciatori, la mutua assistenza, i negozi locali, le parrocchie, ecc.
Ora questa dimensione si sta lasciando trasformare in periferia, in luoghi di periferia e in mentalità di periferia. Essenzialmente in luoghi di solitudine, da cui allontanarsi, per andare al lavoro o a scuola, per andare a cercare cultura, per uscire alla sera. Per incontrare cose e persone, da qui te ne devi andare; questa è periferia, devi andare in centro.
Quando si dice di collegare rapidamente da Struppa a Brignole con il TPL, è sacrosanto, ma sarebbe necessario permettere anche agli abitanti di abitare il proprio territorio, oltre che tornarci per dormire e pagarci i servizi per la residenza.
Penso che solo l’iniziativa autonoma e autorganizzata di quest’ultimi possa recuperare e rinnovare l’aggregazione sociale in questi rebighi di valli genovesi, e il coordinamento tra queste su piattaforme pur basiche ma unitarie, magari allora potrebbe esser utile trovare le sponde rappresentative nel Palazzo. Queste allora avrebbero la massa critica per rivendicare in maniera incisiva.
Diversa la situazione in Bassa Val Bisagno, dove gli appetiti sono feroci. E dove le condizioni urbanistiche sono al limite, con nessun drenaggio delle acque piovane, in colline densamente edificate, su strade d’accesso ai cantieri divenute vie, con 80 mila persone residenti, e a valle decine di punti GDO nei fondi degli edifici, oltre che sbancamenti per tonnellate di roccia sostituita da box seminterrati.
Il Bisagno, giunto a Borgo Crociati, scontra l’arco delle ferrovie e di lì non passa. Non c’è verso, è troppo stretto, e la piena si allarga in tutta la piana facendo danni miliardari, da decenni.
Ma l’Assessore fa votare in Consiglio un Opera da 60 milioni di euro per “scolmare” il torrente Fereggiano (affluente del Bisagno), responsabile del disastro e delle sei vittime del 2011.
Di contro avrebbe potuto ottenere l’attuazione del Piano di Bacino, dal costo di 300milioni di euro, già stanziati completamente a carico del Governo; cioè una soluzione complessiva e organica delle problematiche per gran parte della Val Bisagno. Non lo hanno fatto.
Ad oggi, mini-scolmatore in corso d’opera, piovesse come è piovuto, saremmo nelle stesse identiche condizioni.
Puoi descrivere l’esperienza che si sta sperimentando a Quezzi rispetto alla gestione dei profughi, quali sono state le criticità con il quartiere e cosa invece ha funzionato e può costituire un modello?
Il quartiere di Quezzi, sino a valle, è stato l’epicentro del disastro, con l’esondazione del torrente come ultimo atto di un crollo e un allagamento generalizzato in tutta l’area, appresso ad alcuni giorni di pioggia insistente. È un quartiere iper-edificato e fittamente abitato, con una sola strada di accesso senza sbocco al suo terminale in collina. Storicamente “rifugio” ai margini, ma accogliente per le diverse migrazioni nazionali, che a Genova hanno trovato locazione. Una popolazione “svizzera” che riesce ad avere una buona convivenza civile in situazioni davvero difficili, giacché oltre 10.000 persone abitano quel km quadrato, se solo si uscisse di casa tutti assieme, anche a piedi, la strada non basterebbe!
La nuova immigrazione Africana e Orientale da tempo si è inserita negli spazi man mano lasciati liberi dai precedenti, rilevando anche attività commerciali in loco, e abitando privatamente diverse abitazioni, senza che in questi 10 anni si sia verificata intolleranza o fastidio esplicitato. Per assurdo, da noi in effetti anche un latitante o il tizio ai domiciliari potrebbero scendere al bar per un caffè, tanto è un valore la tolleranza genovese.
Questo clima è stato messo in crisi recentemente, o meglio si è tentato strumentalmente di creare criticità di convivenza, per metterlo deliberatamente in crisi. Volano nebuloso del tentativo è stato l’arbitrarietà delle scelte Prefettizie sull’allocamento coatto di un gruppo modesto di Richiedenti Asilo, e complice dell’operazione è stato l’imprenditore del Terzo Settore che si era aggiudicato l’appalto per l’accoglienza dei migranti. Cercando di evitare confronti e verifiche, hanno dato sponda alle istanze retrive e xenofobe di alcuni attivisti di destra.
L’assenza di informazioni, trasparenza e partecipazione tipiche dell’Amministrazione, hanno permesso che voci infondate ma terroristiche si diffondessero su questa iniziativa, tanto da aggregare un discreto numero di abitanti preoccupati della cosa, intorno a Lega e addirittura Forza Nuova, che comunque hanno militanti nel quartiere essendo la composizione di questo decisamente “di classe” ed essendo purtroppo loro inseriti da tempo negli strati popolari.
Solo la determinazione di alcuni compagni e compagne del quartiere ha permesso la conoscenza dell’intervento previsto nella sua reale e completa progettazione. Abbiamo costretto l’imprenditore e istituzioni ad incontrare ed esplicitare le intenzioni in Sede Istituzionale ed un confronto con i residenti più critici. E non ultimo si sono aggregate e hanno reagito diverse componenti antifasciste, anche meno conflittuali, rimarcando quanto le forti criticità dei territori dimenticati vadano gestite in presa diretta da coloro che se le vivono, in primis, rivendicando trasversalmente l’esigenza che i servizi tornino alla regia pubblica e Comunale, considerata questa una tutela dalle prevaricazioni del business, sia pure “sociale”.
Tanto è bastato a “rompere il giocattolo” dei neofascisti locali, almeno per ora, ma l’ignavia dell’Amministrazione ci riporterà presto la questione d’attualità.
La questione delle “periferie” sembra essere almeno a livello retorico al centro del dibattito politico, ma nella realtà qual è la situazione attuale, la puoi descrivere sinteticamente dal tuo angolo visuale? In che modo si può consumare una rottura con il centro-sinistra che ha governato storicamente la città partendo dal territorio in cui vivi e che peso hanno ancora le clientele e i terminali dell’asse di potere del PD?
In questo territorio ricco di potenzialità ed asfissiato dalle contraddizioni, insistono aree hard core, come l’ex mercato ingrosso, area FFSS, metropolitane e tramvie. Animali feriti sui quali i rapaci fanno cerchi concentrici, il tutto ben collegato nella rete capillare di interessi dello status quo.
Questa rete che appare salda e ben annodata, il potere viene esercitato con dovizia di emanazioni in ogni settore della vita comunitaria, economica e sociale del quartiere, ad ampio spettro; riesce ad accontentare interessi personali e di categoria ottenendo consenso a interventi di varia natura, nonostante possano venire modificati gli assetti e gli equilibri, questa riesce a tenere al suo interno, modificando magari i referenti, i portatori delle istanze egoistiche a cui rispondere ed ottenerne l’appoggio aprioristico ai propri obbiettivi.
Un sistema, costruito sullo scheletro delle relazioni interne ed esterne delle Istituzioni Pubbliche. Non ridurrei il tutto al clientelismo PD, nel senso che al Governo cittadino e locale è il PD il baricentro, ma di emanazioni aggressive del business consolidato in città, che si rifarebbero senza grossi problemi a Bucci e alla sua cricca qualora si rivelassero affidabili, almeno quanto il PD, vedi in Regione. Nell’ottica liberale forse basterebbe un Amministrazione decisa e con altri referenti economici e finanziari, alternativi, a scomporre disordinatamente la compagine capeggiata dalla Curia, che domina gli affari cittadini da decenni asfissiandone le potenzialità. In un ottica liberale…
Un ultima domanda: quale pensi debba essere il ruolo dei comunisti in questa fase, devono essere solamente interni alla costruzione di una rappresentanza “neo-populista”, o debbono anche ridefinire un proprio soggetto politico specifico e in che modo?
L’impegno politico che ci riguarda come comunisti, invece, credo che debba contribuire a soluzioni di altra natura, almeno rispetto alle tematiche della rappresentanza istituzionale.
A mio vedere, individuando gli embrioni di una critica sociale radicale e costruttiva sarebbe opportuno oggi lavorare affinché questi si sviluppino, sostenendo e collaborando, evidenziando e elaborando in comune i vari aspetti, questo diffonderebbe la consapevolezza di quanto l’analisi di classe materialista sia necessaria, come anche l’organizzazione, rendendo funzionale ed organico un soggetto Politico che si andrà definendo (o ridefinendo), non per condurre o dirigere, ma come coordinatore della classe popolare nelle proprie autonome emanazioni, che ne raccolga e rivendichi le istanze anche in sede istituzionale, con l’autorevolezza data dalla massa critica attiva sul territorio.
Napoli ad esempio, con l’Amministrazione De Magistris, ha iniziato a risolvere i conflitti portandoli alla discussione e alla condivisione pubblica, lasciando entrare nel Palazzo ogni qualsivoglia istanza popolare, privilegiandone il punto di vista, impregnando anche in questo modo le mura delle Istituzioni, abbastanza da renderne poi difficile l’eventuale “disaffezione” reazionaria.
Tornando all’inizio, per fare questo è necessario essere determinati a sostenere il conflitto, non certo averne timore o peggio ignorarlo, pena l’ennesimo colpevole buco nell’acqua. Non pare che al momento ci siano molte possibilità di realizzarlo con gli schieramenti della contesa elettorale. Le unità presumono un insieme a cui e di cui sono riferimento, e l’insieme sarebbe ideale nel senso non ancora realizzato concretamente.
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