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Farah, i talebani spadroneggiano

E’ la maggiore offensiva degli ultimi sedici mesi che come recenti attentati, clamoroso il 9 marzo quello compiuto a Kabul contro la visita del Capo del Pentagono, hanno la funzione propagandistica d’intimorire gli afghani a vestire la divisa dell’esercito di Karzai. E di mostrare come quest’ultimo non controlli affatto il territorio. Ieri nello scontro a fuoco protrattosi per alcune ore, dopo che il commando s’era asserragliato nei locali del Tribunale, anche nove assalitori sono rimasti uccisi. La dinamica dell’azione, cominciata di primo mattino, evidenzia il livello di spavalderia dei gruppi talebani e l’insicurezza in cui vivono le locali Forze Armate. A Farah è presente più d’un reparto italiano, ma come accade nella cittadella  dei compound della capitale, fuori dalle mura in cemento armato e dai cavalli di frisia che li difendono le truppe cercano di non avventurarsi.

A Kabul il governo ha parlato per bocca di Karzai in persona che ha definito quelle morti un vero massacro, sostenendo che “il sangue musulmano non può essere disperso e che le vittime non rimarranno impunite”. Dichiarazioni di prammatica che cozzano con una realtà che dimostra come le forze Nato non controllano affatto il Paese, nemmeno in quelle aree dove i reparti occidentali sono presenti da undici anni. L’impossibilità di condurre una vita normale, l’assenza totale di servizi, l’incuria, l’abbandono, i soprusi grandi e piccoli con cui si misura l’esistenza dell’afghano medio sono l’esatto contrario di ciò che il presidente va dichiarando nelle interviste come quella rilasciata ieri ad Al-Jazeera. I tragici dati delle vittime, e non ci riferiamo alle violenze minori, parlano da soli. Nell’ultimo anno sono morti 3000 soldati afghani, quanti sono i caduti delle truppe Onu dall’avvio dell’occupazione. Mentre i lutti arrecati alla popolazione civile sono molteplici e fanno contare 15.000 decessi. Tutti morti di quella “missione di pace che libera l’Afghanistan dal terrorismo talebano”.

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