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Il vizietto delle lettere. Il Fmi ricatta la Tunisia

Nell’agosto del 2011 un memorandum di Draghi e Trichet, per conto della Banca Centrale Europea, arrivò all’allora premier Berlusconi, e sappiamo come andò a finire. Dopo pochi mesi la stessa BCE mandò una lettera al premier spagnolo Zapatero, e anche a Madrid sappiamo come è andata a finire.

Ora sono proprio i quotidiani iberici a rivelare che un messaggio zeppo di ‘condizioni’ è stata inviata al governo di Tunisi. Questa volta dal Fondo Monetario Internazionale (la Tunisia ha la fortuna di non essere membro dell’UE).

Una lettera che potrebbe avere un effetto disastroso su un paese che, uscito da una lunga dittatura solo due anni fa tramite la cosiddetta ‘rivoluzione dei Gelsomini’, sta cercando di conquistare una libertà e un grado di autodeterminazione messi a serio rischio dall’egemonia degli islamisti di Ennahda, che si stanno pian piano impossessando di tutti i gangli della società. Continuando a imporre le folli scelte di politica economica neoliberiste del precedente regime e le cui tremende conseguenze sociali – povertà, emigrazione, disoccupazione – furono un fattore scatenante della rivolta contro il dittatore Ben Alì.

Ed è proprio ai vertici del partito islamista che il FMI si rivolge chiedendo di continuare ad obbedire senza fiatare agli stessi diktat che da alcuni anni stanno sprofondando nella miseria e nella disperazione anche decine di milioni di lavoratori e cittadini della sponda nord del Mediterraneo.

Il quotidiano progressista spagnolo Publico afferma di aver avuto accesso ad un documento “strettamente confidenziale” che contiene un vero e proprio memorandum, un elenco di punti da rispettare in materia di economia e finanza che la Direttrice del FMI, la francese Christine Lagarde, ha inviato ai dirigenti del principale partito di governo tunisino. Un messaggio che ‘suggerisce’ una tabella di marcia per il prossimo anno basata su alcune ‘riforme’ e su tagli e austerità.
Un messaggio che suona come un si condizionato alla richiesta da parte del governo tunisino di un prestito di 1,3 miliardi di euro.

In cambio degli aiuti, si chiede a Ennahda e ai suoi alleati liberali di smantellare e privatizzare i servizi sociali pubblici, di rendere ancora più flessibile il mercato del lavoro, di tagliare la spesa pubblica e di approvare leggi che favoriscano gli investimenti delle imprese straniere. Nella prima parte del memorandum, controfirmato dal governatore della Banca Centrale di Tunisi, Chedly Ayari, e dal ministro delle Finanze, Elyes Fakhfakh, si assicura l’FMI che la principale e immediata priorità dell’esecutivo tunisino è quella di “rilanciare le attività economiche e creare un clima di stabilità e fiducia che rivitalizzi gli investimenti e il ruolo del settore privato”. In questo quadro, per “proseguire con il piano di riforme strutturali” i due chiedono l’appoggio del FMI che quindi controllerà l’attuazione delle sue raccomandazioni con tappe trimestrali. Così come è avvenuto per Spagna, Cipro, Portogallo, Irlanda e altri Piigs – Italia compresa – si pone l’attenzione sulla necessità di ridurre il deficit di bilancio e convogliare un consistente flusso di capitali verso il sistema bancario.

Il tutto con l’obiettivo di ridurre un debito che però molte forze sociali e politiche del paese rigettano, in quanto frutto della speculazione di settori privati e corrotti o direttamente delle politiche di una dittatura che non rappresentava certo gli interessi del popolo tunisino.

“Si tratta di un debito pubblico esterno verso creditori che sono sia paesi dominanti nel FMI sia privati che sono stati complici del regime di Ban Alì” ha denunciato alcuni giorni fa Éric Toussaint, presidente del Comitato per l’Annullamento del Debito nel Terzo Mondo (CADTM).

Dello stesso avviso anche il Fronte Popolare, la coalizione tra forze progressiste e di sinistra all’opposizione del governo islamista, secondo il quale le imposizioni e le raccomandazioni del FMI rappresentano un evidente tentativo da parte delle istituzioni internazionali di paralizzare la ‘rivoluzione’ del gennaio del 2011 e addirittura di invertirne il corso.

Significativa, a questo proposito, l’ultima pagina del memorandum, che contiene una vera e propria agenda che il governo tunisino dovrà rispettare mese per mese. Un calendario imposto direttamente dalla Lagarde. Tra le misure imposte: aumentare i prezzi dei carburanti e dei combustibili; eliminare la capitalizzazione dei tassi di interesse sui depositi con una scadenza superiore a un anno; eliminare le restrizioni alle importazioni; adottare un metodo automatico di aumento dei prezzi dell’energia elettrica.

E’ evidente che una simile agenda non potrà che peggiorare le condizioni di vita già esasperanti di una popolazione tunisina che già negli ultimi mesi ha dato vita, in alcune regioni, a vere e proprie sommosse popolari. C’è quindi da giurare che, se da una parte il governo islamista dovrà ridurre la spesa pubblica e smantellare l’amministrazione dello Stato, dall’altra dovrà aumentare le spese destinate agli apparati di sicurezza e alla repressione.

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