Tegucigalpa, 23 aprile (LINyM)-. Quando nel giugno 2012, dopo un processo di impeachment durato meno di 30 ore, il Senato del Paraguay destituì il presidente Fernando Lugo, l’America Latina vide con crescente preoccupazione la perversa evoluzione di nuovi tipi di “colpi di Stato istituzionali” e anche di nuovi metodi, apparentemente democratici, per frenare i movimenti popolari e i processi di cambiamento messi in atto dai governi di sinistra e progressisti latinoamericani.
Se il golpe che, nel giugno 2009, depose il presidente honduregno Manuel Zelaya fu un vero e proprio laboratorio per testare la tenuta di questi nuovi modelli golpisti e il complotto fallito contro il presidente ecuadoriano Rafael Correa, nel settembre 2010, rafforzò ulteriormente questa ipotesi, le elezioni di domenica scorsa (21/4) in Paraguay e la vittoria del magnate del tabacco Horacio Cartes, rappresentano la quadratura del cerchio per le forze reazionarie latinoamericane.
Col ritorno del Partito Colorado al potere -lo stesso che governò per 60 anni, inclusi i 35 del dittatore Alfredo Stroessner e che perse nel 2008 contro la coalizione capeggiata da Fernando Lugo- e il reinserimento del Paraguay nella comunità latinoamericana solo 9 mesi dopo il vergognoso massacro di Curuguaty, progettato con macabra freddezza a tavolino, e il golpe “istituzionale” contro Lugo, non solo si stanno legittimando questi tragici fatti, ma si sta creando un precedente molto pericoloso per tutti i processi di cambiamento in atto in America Latina.
Al momento del colpo di Stato contro il presidente Lugo, l’analista politico e docente universitario honduregno Eugenio Sosa, affermava alla LINyM che con il rovesciamento del presidente Zelaya “la destra ha imparato che ormai non è più necessario agire come faceva nelle decadi passate, usando i militari per reprimere e massacrare”.
L’accademico assicurava anche che era molto meno grave, per questa destra politica e sociale “scommettere su nuove formule apparentemente democratiche, che vengono facilmente accettate da parte dell’opinione pubblica mondiale”.
Se nel caso dell’Honduras, gli Accordi di Cartagena permisero la normalizzazione delle relazioni internazionali con il resto del mondo e il riconoscimento formale del regime di Porfirio Lobo, ad eccezione del coraggioso governo dell’Ecuador e del suo presidente Rafael Correa, aprirono anche la porta al ritorno di Zelaya e permisero la creazione e iscrizione di un partito politico – Libertà e Rifondazione (Libre) – che attualmente si posiziona come un’alternativa reale al bipartitismo classico del paese centroamericano.
Ciò che stiamo vedendo in questi giorni in Paraguay, quindi, non è altro che il tragico perfezionamento di questo nuovo modello, che cerca di prevenire ed evitare gli “effetti collaterali” post-golpe avvenuti in Honduras.
Si è istituzionalizzato il colpo di Stato attraverso una figura giuridica che fa parte della Costituzione, si è resistito all’isolamento internazionale per circa 9 mesi, si è lavorato per dividere, mantenere divisa e invisibilizzare mediaticamente l’opposizione di sinistra e centro-sinistra, si sono realizzate elezioni “democratiche” e la comunitá internazionale ha riaccolto il Paese nel proprio seno. Un golpe perfetto!
Non è un caso che, pochi mesi fa, il Congresso Nazionale dell’Honduras abbia approvato una riforma costituzionale che crea la figura del giudizio politico, la quale permette di processare funzionari pubblici, compreso il Presidente della Repubblica, rimuovendoli dal loro incarico.
In questo senso, risulta quanto meno spiacevole e poco serio che vari presidenti latinoamericani, Uruguay e Argentina in primis, si siano congratulati con Horacio Cartes per la vittoria elettorale, aprendo dunque la porta al ritorno del Paraguay nel Mercato comune del sur, Mercosur e nell’Unione delle nazioni sudamericane, Unasur, senza nemmeno ribadire l’origine perversa di questi comizi, che hanno riportato il Partito Colorado e il suo candidato alla Presidenza della Repubblica.
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