Golpe negato ma effettuato e stragi s’inseguono nell’Egitto della Primavera incompiuta dove in tanti parlano di Rivoluzione ma quel che soffoca il popolo, accanto all’emergenza economica, è l’emergenza democratica. Schiacciata da una lotta per il potere che usa le masse ma si dimentica di loro e le illude. Ed è una grande fetta del popolo stesso a illudersi che il dramma vissuto non possa peggiorare. Ragioniamo su alcuni nodi caldi che segnano l’attuale agenda egiziana.
Hazem El Beblawi – Il neonominato premier. Dicono di lui che sia un liberale-liberista che ha confidenza coi militari del cui Scaf, mascherato dal governo Charaf, è stato ministro delle Finanze nel 2011. E’ un uomo delle istituzioni economiche private (per chi mastica il disgustoso chewing-gum della politica italiana una sorta di piccolo Monti). Il biglietto da visita fa comprendere in quali mani le forze “rivoluzionarie” egiziane e i manovratori internazionali vogliono mettere la transizione in una fase che sfiora la guerra civile. Oltre al sostegno del generale Al Sisi e dei leader del Fronte Nazionale di Salvezza ha ricevuto il benestare dei salafiti del partito Al Nour che avevano posto due veti: verso ElBaradei, l’uomo di Washington e verso il socialista Eddine.
Elezioni – Parlare di elezioni politiche fra sei mesi, come fa il giudice Adly Mansour ora Capo di Stato ad interim, è più un tentativo per cercare di normalizzare a parole una situazione che dopo il colpo di stato e la strage degli islamici di lunedì scorso non ha più nulla di normale. Le elezioni erano previste a primavera, poi sono scivolate in avanti per gli ostacoli opposti dai raggruppamenti dell’opposizione laica che meditavano e organizzavano la contestazione dei Tamarod capace di bloccare il Paese e disarcionare Mursi. Capire se con la spaccatura in atto si riuscirà a organizzare pacifiche consultazioni è un’incognita assoluta. Per i maggiori partiti del Fronte di Salvezza Nazionale, che fino ai mesi scorsi temevano l’urna, potrebbe rappresentare un’occasione di riscatto perché il feeling popolare della Fratellanza è molto in ribasso. Ora il massacro subìto dai suoi militanti potrebbe riequilibrare la situazione che a detta di taluni statistici, per quanto possano valere in questi giorni le proiezioni, avvantaggerebbe maggiormente i salafiti, sia i tatticistici di Al Nour sia le neoformazioni di Ismail e Al Ghaffar. Eppure la componente che potrebbe ottenere un exploit sotto i colpi di slogan come: patria, laicità, ordine è un’entità come quella che sostenne Shafiq alle presidenziali d’un anno fa. Una vera calamita di voti di arabi mubarakiani e occidentalisti anti islamici. Ma una nazione così divisa riuscirà ad accettare il confronto nei seggi?
Referendum costituzionale – Ben più ardua la premessa alle elezioni stesse rappresentata da un referendum sugli emendamenti da apportare a quella Costituzione che tanta divisione ha creato fra gli egiziani. Gli oppositori politici di Mursi, il trio ElBaradei-Moussa-Sabbahi sono stati per l’intero 2012 rigidi avversatori dell’Assemblea Costituente accusata d’impronta islamista, dalla quale hanno fatto uscire propri esponenti e impedito una trattativa e una stesura condivisa della Carta. Il boicottaggio vendicativo della Confraternita e ancor più dei salafiti verso un ritocco della Costituzione è cosa certa.
Collaborazione di governo – Per lo stesso motivo non vediamo come El-Beblawi, col suo passato, possa pensare di tendere la mano ai politici della Fratellanza sperando che qualcuno di loro accetti di far parte d’un nuovo Esecutivo, visto il doppio scippo di premierato e presidenza che hanno dovuto ingoiare. Una delle voci ufficiali della Brotherhood, Essam El-Erian, ha diffuso sul sito web che quanto Al Mansour sta proponendo è un ritorno a quel passato che la Rivoluzione del 25 gennaio 2011 aveva spazzato via. Con questi presupposti il proprio movimento non accetterà alcuna transizione.
Fratellanza – Visti i colpi subìti e il sangue versato – le vittime del massacro della caserma della Guardia Repubblicana sarebbero per la Confraternita 77 non 51 come dice la tivù di Stato – i Fratelli Musulmani che non proponessero una controffensiva politica potrebbero perdere credito e adepti. Da qui la spinta al compattamento tramite l’iniziativa del “milione di martiri”. Le mobilitazioni però non bastano, servono strategie di media e lunga portata. In tal senso la dirigenza ha sempre mostrato ponderatezza ed equilibrio, difficilmente si lascerebbe coinvolgere in ipotesi combattentiste votandosi alla lotta armata. I tempi di Sayyid Qutb sono morti con lui. La Fratellanza potrebbe magari perdere attivisti giovani attratti, nelle aree dove questa esiste (Sinai e governatorati del Sud) dalla galassia jihadista. La tendenza maturata negli ultimi decenni è quella della presenza politica per un lavoro sociale e di massa che dopo repressione, clandestinità e ogni escamotage, anche la militanza presso altre formazioni quand’erano posti fuorilegge, aveva concesso ai Fratelli consenso e potere.
Forze Armate e repressione – I militari figli del popolo votati al bene del popolo e garanti della nazione, che già s’erano infangati con la repressione della rivolta anti Mubarak e nei sedici mesi della Giunta Tantawi, si sono macchiati l’8 luglio d’una strage che gli islamici difficilmente dimenticheranno. La strada algerina appare lontana solo se non si creerà un fronte combattente contrapposto all’esercito, come in quel caso fu il Gruppo Islamico Armato che nelle sue componenti oltransiste e salafite (secondo alcuni poi vicine ad Al-Qaeda) proseguì azioni e attacchi ben oltre la “pacificazione” del 1999 lanciata dal presidente Boutefilka. Ma al di là di paralleli per ora, fortunatamente, impensabili sottolineamo un elemento che dovrebbe far riflettere anche i più critici verso l’Islam politico targato Fratellanza Musulmana. Esso rappresenta da tempo una realtà nel mondo arabo e turco. E’ osteggiato dai partiti che in quelle nazioni s’ispirano a ideali laici, viene lusingato e al tempo stesso ostacolato dalle potenze internazionali, in primis Stati Uniti e blocco occidentale con l’aggiunta di Israele, nelle sue versioni conservatrice e antimperialista. Il primo esempio è l’Adalet ve Kalkınma Partisi dal 2002 al potere in Turchia che sotto le precedenti sigle del Fazilet Partisi e Refah Partisi era stato sciolto nel 1999 e 1998. L’altro caso è Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, più noto come Hamas, vincitore delle consultazione nel 2005 e 2006 e fatto oggetto assieme agli abitanti della Striscia di Gaza di embargo e guerre mirate.
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