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Israele e ribelli siriani. Una convergenza di interessi

Domenica scorsa, un leader dell’opposizione “siriana” chiamato Hassan Rastanaoui è apparso in diretta da Homs sulla seconda rete israeliana. Era l’ospite a sorpresa del giornalista israeliano Ehud Yaari.
Rastanaoui viene descritto dal sito web della televisione israeliana come un leader dei ribelli “siriani”.
Rispondendo alla domanda di un giornalista sul bombardamento dei giorni scorsi da parte dell’aviazione militare israeliana su Damasco, Hassan Rastanaoui ha espresso la sua gioia e gratitudine.
Secondo lui, i bombardamenti aerei delle forze armate israeliane miravano ai nascondigli di armi appartenenti all’Esercito arabo siriano, ma anche alle milizie di Hezbollah e alla Guardia repubblicana iraniana, che definisce “le più grandi minacce terroristiche”.
Questo nuovo attacco del nemico israeliano, dice Rastanaoui, “riempie il cuore del popolo e dei rivoluzionari siriani”.
La complicità tra i ribelli siriani e l’esercito israeliano non è uno scoop.
L’anno scorso, lo stesso canale israeliano aveva intervistato lo sceicco Abdullah Tamimi, un salafita originario di Homs e molto “Israel-friendly”.
Usurpando l’identità sunnita, in modo ingiurioso per i milioni di patrioti siriani sunniti, Tamimi dichiarava che “per i cittadini siriani sunniti, Israele non è e non è mai stato il loro vero nemico (…) Noi (i sunniti) siamo nello stesso campo di Israele”.
D’altra parte, numerosi combattenti dell’Esercito Siriano Libero (ESL) sono ospitati e ricevono cure dall’esercito israeliano (AFP, 16/02/2013 e Marc Henry, Le Figaro, 29/03/2013). Ricevono armi israeliane, accolgono giornalisti e agenti israeliani nei loro ranghi, informano i servizi segreti israeliani sulla localizzazione delle rampe di lancio dei missili balistici siriani e dei depositi di armi e promettono che la Siria “libera” normalizzerà le proprie relazioni con Israele.
Malgrado l’abbondanza di prove sulle collusioni tra Israele e ribelli siriani, sui media mainstream ma anche in alcuni circoli cosiddetti alternativi e filo-palestinesi, si trovano ancora alcuni seguaci frustrati della teoria del complotto che difendono la tesi secondo la quale Siria e Israele sarebbero paesi amici, sostenendo che dopo la guerra di Tichrine [Ottobre, ndt] (chiamata con il suo nome ebraico – Yom Kippur – nei media occidentali), Damasco ha rinforzato la sua frontiera che la separa da Israele così come le sue linee di difesa nel Golan.

Questa teoria, tuttavia, è assurda tanto quanto lo è sospettare una complicità tra Stati Uniti e Cuba per il fatto che L’Avana non ha ancora riconquistato la baia di Guantanamo, territorio cubano sotto occupazione militare statunitense dal 1898.

Non se ne dispiacciano certi specialisti della dissimulazione, ma l’insubordinazione del governo di Damasco contro Israele e i suoi vassalli wahabiti, il sostegno politico e militare fornito alle resistenze libanese e palestinese, la sua alleanza strategica con l’Iran, tali sono le ragioni obiettive che spingono gli Stati Uniti, l’Europa ed Israele a prolungare la guerra in Siria per quanto si può.

Alla vigilia della guerra contro l’Iran, la missione svolta dai jihadisti siriani accontenta Israele proprio come le operazioni condotte da Israele contro il governo siriano sono manna dal cielo per gli jihadisti siriani. E questo per stessa ammissione di un capo dei ribelli.

* attivista e saggista turco in esilio

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