Il segretario di Stato americano, John Kerry – in visita in Medio Oriente per studiare forme di intervento non armato – mette in un angolo la road map per una transizione politica e torna a parlare di armamenti ai gruppi di opposizione al presidente Bashar al-Assad: “Nel caso in cui non trovassimo una soluzione, nel caso in cui il regime di Assad non voglia negoziare, parleremo del nostro continuo sostegno e del nostro crescente supporto alle opposizioni al fine di permettere loro di proseguire nella lotta per la libertà”.
Ovvero, altre armi, un intervento militare indiretto che di certo renderebbe più sanguinosa una guerra civile che in due anni ha provocato 80mila morti. Kerry ne ha parlato in Giordania prima dell’incontro con il gruppo di opposizione “Amici della Siria” e con dieci Paesi arabi e europei, strenui sostenitori dei “ribelli” siriani.
L’idea di una conferenza internazionale per trovare soluzioni politiche al conflitto non è stata abbandonata, ma è stata presentata da Washington con un più basso profilo. La conferenza si terrà comunque, probabilmente in un paio di settimane a Ginevra, sotto l’ombrello americano e russo. Potrebbe tornare sul tavolo il piano a sei punti proposto un anno fa dall’allora inviato speciale per la Siria, Kofi Annan, che pensava ad un governo di transizione per uscire dalla crisi.
Da parte loro, le opposizioni si mostrano ferme: Assad non deve far parte di una simile soluzione. Al meeting giordano, gli “Amici della Siria” lo hanno ribadito: il presidente non avrà alcun ruolo nella pacificazione del Paese. Aggiungendo un “appello” a Iran e Hezbollah: ritiratevi dalla Siria e uscite dal conflitto. Il ruolo che il movimento libanese e il regime iraniano hanno avuto e continuano ad avere è certo importante, per la fornitura di armi e uomini nella battaglia contro i ribelli. Che, dal canto loro, non disdegnano né il sostegno finanziario dell’Occidente, né tantomeno quello militare di miliziani e islamisti provenienti da ogni parte del mondo, Europa compresa.
(Nena News)
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