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LISBONA – Dopo un lungo inverno e una primavera capricciosa, piovigginosi come nella ricca Mitteleuropa, ma senza lo stesso PIL, il primo fine settimana di giugno nel Paese tra i più colpiti dalla crisi dell’eurozona è stato radioso dal punto di vista climatico, nebuloso sul piano politico, malgrado le previsioni degli ottimisti della volontà.
Prima ancora della manifestazione antitroika del 1º giugno, il lungo weekend era iniziato giovedì 30 maggio, proprio all’insegna della buona volontà (e forse un pizzico di cattiva coscienza) con la grande assemblea delle sinistre (plurale d’obbligo), intenzionate a far cadere il governo di socialdemocratici e popolari e dire basta al rigore che sta strangolando l’economia nazionale.
Le aveva chiamate a raccolta, nell’Aula Magna dell’Università di Lisbona, il grande vecchio del Partito Socialista Portoghese, Mario Soares. Però sia i socialisti che i comunisti ci avevano inviato osservatori di secondo piano, guardandosi bene dal farci entrare i loro leader ufficiali, mentre lo stesso Soares sembrava voler corteggiare più i possibili dissidenti dei partiti della maggioranza che i potenziali alleati “naturali” a sinistra del PS, partito che d’altronde ha sempre rifiutato di coalizzarsi a sinistra sin dai tempi della clandestinità, quando per piacere all’Europa democratica bisognava dimostrare di saper sottrarre militanti al PCP. Risultato: anni di equilibrismo trasformistico, “rotativismo” (come si suol dire da queste parti) con gli antagonisti socialdemocratici e un orizzonte via via più povero di alternative. Una penuria di idee e pratiche politiche che la recente perdita di sovranità causata dal debito ha solo accentuato.
Dopo il convegno, è arrivato il pomeriggio del 1º giugno e la manifestazione annunciata. Non solo geograficamente agli antipodi da Istanbul, il corteo di Lisbona non è stato semplicemente pacifico (cosa di cui giustamente la maggioranza degli attivisti portoghesi si è sempre vantata), ma ha marciato stanco, arrancando e andando a morire nell’Alameda Dom Afonso Henriques, un grande parco verde dove i manifestanti si sono confusi e dispersi tra bimbi sulle altalene e gente stravaccata sull’erba. Insomma il punto più basso di adesione popolare da quando, il 15 settembre scorso, il movimento civile “Que se lixe a troika!” aveva riversato centinaia di migliaia di cittadini nelle strade della capitale. Sembrava l’apertura di una nuova pagina nella storia politica del Portogallo, quella, e invece il movimento nato allora in rete sembra essersi spento nell’arco di un anno scolastico. Arreso ai primi caldi e alle lusinghe del mare? Sia pure in negativo, potrebbe essere una buona fotografia del destino di certe piattaforme virtuali, votate all’ecumenismo ma poi incapaci di tradursi in progetti politici reali e costruttivi.
Non è da escludere che, per ora, il ritorno alle formazioni tradizionali non riscuota un successo maggiore e all’antica. Il prossimo appuntamento con la protesta lo hanno fissato guarda caso i sindacati, con lo sciopero del 27 giugno prossimo, forse straordinariamente unitario, vista la probabile adesione (che dovrebbe essere formalizzata nelle prossime ore) della UGT, sindacato socialista che ultimamente aveva deciso di civettare col governo, lasciando la CGTP sola a governare la piazza.
Intanto Lisbona ci ragiona e ride. È un riso amaro, ma sembra godere di qualche simpatia in più. Si è infatti aperto ufficialmente il mese di giugno – che in tutto il Portogallo è una lunga stagione di festività cittadine, religiose e popolari, da sant’Antonio a san Pietro – con “PIGS in festa”, ossia attori, musicisti e artisti di strada provenienti proprio dai paesi “porci”: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Hanno riempito per sei ore una delle piazze più grandi e belle del centro distribuendo maschere da maialini di cartone e tanto buon umore. È una classica valvola di sfogo, si sa. L’altra, la segnalano da tempo le statistiche e qui va molto forte, si chiama emigrazione.
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