Morti (almeno 14, secondo alcune fonti), feriti e centinaia di arresti: tensione altissima in Iran, dove nel fine settimana sono esplose proteste di piazza per un aumento del costo della benzina.
La situazione è immediatamente degenerata dopo l’annuncio – a sorpresa – del governo di razionare il carburante aumentandone il prezzo: era venerdì, e in diverse città si è innescata immediatamente la protesta.
Shiraz, Sirjan, Mashhad, Ahvaz, Gachsaran e Bandar Abbas le località dove si sono registrate le prime manifestazioni, che sono dilagate: nella città di Yazd sono state arrestate quaranta persone, mentre a Kermanshah è morto un agente di polizia, raggiunto da alcuni spari provenienti dalla fola in protesta.
La cosiddetta “rivolta della benzina” sta assumendo – secondo alcune testimonianze – tratti di viralità: la tattica preferita di questa nuova protesta sarebbe quella di spegnere i motori delle automobili creando ingorghi nel traffico improvvisi e complessi da gestire per le forze dell’ordine.
Il governo, per bocca del ministro dell’Interno Abdolreza Rahmani Fazli, ha annunciato che dopo un atteggiamento iniziale di tolleranza nei confronti della contestazione potrebbe scegliere un approccio più duro e repressivo.
L’ayatollah Alì Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, si è schierato contro la protesta sostenendo la decisione del governo di alzare i prezzi della benzina.
In realtà i provvedimenti contro i quali è esplosa la rabbia della popolazione avrebbero come obiettivo proprio il sostegno al reddito: i circa 2,55 miliardi di euro all’anno (circa 300 mila miliardi di rial) sarebbero destinati alla redistribuzione, per gestire gli effetti delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti dopo il ritiro dell’accordo sul nucleare voluto dall’amministrazione Trump.
La situazione rimane tesa, e la difficoltà a reperire informazioni – amplificata dal limite imposto dalle autorità all’accesso ad Internet – rende meno chiare le posizioni e l’entità di quanto sta avvenendo.
Protestare contro il “caro-vita”, e quindi pretendere migliori condizioni sociali ed economiche è una delle caratteristiche di molte delle rivolte in atto in questo autunno globalmente molto caldo: in Ecuador si partì – anche lì – da un “no” all’aumento dei prezzi della benzina, in Cile fu invece l’annunciato aumento del prezzo della benzina a dare il via alle proteste, in Libano la prospettiva di nuove tasse su beni e servizi.
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